Se è in crisi a 8 anni chissà da grande

di Marina Bertolini (1992), studentessa di Scienze dei Beni Culturali – Curriculum Teatro e Cinema – presso l’Università Cattolica di Milano.

 

Lo studio  su Amleto fatto da Teatro Sotterraneo è sicuramente suggestivo: tutti conosciamo infatti le mille sfaccettature del personaggio ma raramente, anzi, potremmo dire mai, abbiamo pensato ad un Amleto bambino.

Ed è così che l’ha invece pensato e realizzato Daniele Villa. Il protagonista è un giovane attore, estremamente divertito dalla situazione, che dialoga, poco in realtà, con altri due attori che, di volta in volta, ricoprono ruoli differenti ma non ben chiari. All’inizio sembrano guardie del corpo, pronte a tutto pur di difendere il principino, poi dei giornalisti che vogliono sapere ogni cosa riguardante la routine quotidiana per la realizzazione di un documentario.

Se è vero che siamo nell’era del reality, in cui si sa tutto di tutti, questo saltellare indefinito dei personaggi non riesce a restituire né un’immagine realistica di quel che può eventualmente essere stata l’infanzia di Amleto, né un’ironica indagine giornalistica. Sebbene l’idea, quindi, sia originale e fantasiosa, all’atto pratico lo spettacolo appare raffazzonato e non coerente: non ci sono stacchi precisi fra i diversi momenti e persino l’intervista alla mamma, nascosta nel pubblico, resta isolata come una semplice gag. L’unico filo conduttore che sembra seguire il docu-spettacolo è l’ormai nauseante mantra essere o non essere, ripetuto insistentemente da Amleto, che fa perdere letteralmente la testa; per fortuna, in questo caso, solo quella dell’orsetto di peluche. A suggellare un’inconsistente messa in scena, ci pensano infine i Radiohead che, con la canzone Creep, decretano la crisi di un personaggio non ancora maturo.

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