di Marta Maria Altomare (1989), laureanda in Filologia moderna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
Intervista alla compagnia Berardi-Casolari
Qual è stata la vostra prima reazione quando vi hanno proposto lo studio sull’Amleto?
«Chiedetemi tutto ma non l’Amleto!». É da un po’ di tempo che qualcuno mi dice: «Dai Berardi, fai un Amleto, giovane, fresco, divertente magari». Le tracce amletiche ci sono sempre nei nostri lavori, nel rapporto tra uomo e donna, tra giovane e meno giovane, tra individuo e paese. Riscriviamo, mescoliamo: «l’essere o avere», che ci sarà nel nuovo spettacolo, «il vedere o non vedere» del precedente. C’è un rapporto simbiotico: lo rielaboriamo, contaminandolo con lo sporco che ancora oggi c’è.
Mi sembra che nei vostri spettacoli siano ricorrenti il richiamo all’attualità e l’elemento popolare, i quali si mescolano al ritorno al passato e alla memoria, o sbaglio?
Il nostro teatro è popolare, perché noi siamo popolari. Ci interessa che il nostro teatro sia universale, che ci siano riferimenti multistrati, per cui ognuno, secondo la propria provenienza socio-culturale, possa arrivare a capire quello che è in grado di capire, non perdendo l’insieme. La memoria: è importante ricordarsi chi si era, per capire dove si vuole andare e sentire chi si è. Il nostro era un paese di emigranti, che oggi tratta male di immigrati. Guardando indietro avviene sempre la scintilla. «Un paese dove il bene già è poco e chi ce l’ha quel bene, se lo tiene stretto, anche a scapito di suo fratello. Io, in un paese così, non riesco più a far finta di niente». Noi non eravamo coraggiosi, lo siamo diventati.
Guardando i vostri lavori ho pensato a una canzone di una band statunitense che dice «Ora che ho perso la vista, ci vedo di più»: la cecità è la vostra metafora dominante. Qual è il messaggio che volete trasmettere?
Quella di vedere è una condizione, ma anche un allenamento, come il coraggio. Non lo so se ora che ho perso la vista, ci vedo di più: sicuramente ho concentrato il mio sguardo, continuo a guardare, anche se non vedo.. a volte penso che intellettualmente forse sia meglio non vedere, concretamente non ne parliamo proprio! La vista è il senso più vicino al cervello, per questo uno dei più importanti, ma anche il più pericoloso: vedere vuol dire anche giudicare, sentenziare, modificare. C’è un buio epocale, una cecità fuori. Quando la gente chiude gli occhi, recupera il rapporto tra il suo io e il mondo, il suo cuore e l’universo che gira. Tutto quello che si racconta, parla di ognuno di noi, è lo specchio dell’interiorità. «Soffro, ma sogno, per questo io vivo. Combatto con quello che ho dentro».
CHIEDETEMI TUTTO MA NON AMLETO
in scena
giovedì 16 e venerdì 17 maggio
di e con Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari
e la partecipazione di Davide Berardi (voce solista e chitarra) e Giancarlo Pagliara (fisarmonica)
regia Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari
produzione compagnia Berardi Casolari
http://www.teatrofrancoparenti.it/?p=informazioni-spettacolo&i=708
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