di Chiara Carbone
Finalmente è andato in scena al teatro Franco Parenti lo spettacolo Locke, tratto dalla sceneggiatura di Steven Knight (con protagonista Tom Hardy), tradotto e adattato dall’attore Filippo Dini. È lui a dominare interamente la scena per tutto il tempo dello spettacolo, o a esserne dominato. Tutti gli altri personaggi sono per noi solo voci al telefono o messaggi di segreteria registrati, che però assumono corpo e spessore narrativo durante lo svolgimento della storia.
La strada che il protagonista sta percorrendo, un tragitto di un paio d’ore che lo conduce da casa sua all’ospedale di Londra dove Bethan (una donna che egli conosce appena) sta per partorire loro figlio, sembra non finire mai. Essa incombe sulla scena non solo metaforicamente ma anche visivamente: la scenografia è infatti costituita da una strada che si ripiega in modo opprimente sul palcoscenico, come se fosse sul punto di schiacciare Ivan Locke. Egli occupa il centro della scena, seduto sul sedile della macchina, costretto a sentire tutta la propria vita crollargli addosso senza potersi muovere (almeno non fino alla fine). Sua moglie, i suoi figli, la sua casa, il suo lavoro sono tasselli che sembrano disintegrarsi a poco a poco tramite le telefonate che lui, agitato eppure inchiodato al sedile dell’auto, subisce oppure esegue, senza avere in nessuno dei due casi il controllo su quello che gli sta accadendo.
Fra chiamate effettuate, chiamate ricevute, chiamate perse e linee occupate l’attore non smette di parlare nemmeno per un attimo. È così che veniamo a conoscere i retroscena che lo hanno condotto in quella situazione, i suoi figli che lo aspettano per guardare insieme la partita, la moglie che prima non vuole credere alle sue confessioni e poi si rifiuta di perdonarlo. Ivan continua senza sosta a parlare, gridare, arrabbiarsi, supplicare; nei pochi momenti di tregua, quando per un attimo il telefono smette di squillare, si trova a dialogare con il padre defunto da cui è stato abbandonato e in cui ha paura di riconoscersi.
Alla fine, annichilito da tutto ciò che è successo e da quello che ha perso, egli esce di scatto dalla macchina: un gesto liberatorio, accompagnato dai primi vagiti di suo figlio, ancora una volta ascoltati tramite il suo cellulare.
Per maggiori informazioni clicca qui.
dalla sceneggiatura di Steven Knight
traduzione e adattamento di Filippo Dini
uno spettacolo diretto e interpretato da Filippo Dini
e le voci al telefono sono di (in ordine di apparizione):
interpreti – personaggi
Sara Bertelà – Bethan
Eva Cambiale – Moglie di Gareth
Alberto Astorri – Donal
Emilia Piz – Lisa
Iacopo Ferro – Sean
Mattia Fabris – Gareth
Mariangela Granelli – Katrina
Valentina Cenni – Sorella Margareth
Carlo Orlando – Davids
Giampiero Rappa – Dottor Gullu
Fabrizio Coniglio – Cassidy
scene e costumi Laura Benzi
luci Pasquale Mari
colonna sonora Michele Fiori (sistema audio in olofonia “HOLOS”)
regia del suono David Barittoni
aiuto regia Carlo Orlando
pittore scenografo Eugenio De Curtis
direttore di scena Riccardo Scanarotti
elettricista Gianni Gajardo
sarta Caterina Airoldi
produzione Teatro Franco Parenti/ Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia/ Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
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