di Luka Bagnoli
Infido, bugiardo, assassino, porco. Michela Murgia non risparmia nemmeno una delle frecce al suo arco; un solo obiettivo: far uscire allo scoperto il turlupinatore per eccellenza, l’ingannatore di Siviglia nato dalla penna di Tirso de Molina. Don Giovanni, però, non è così facile da smascherare. Egli stesso è la maschera dietro la quale si nascondono certi uomini, impropriamente chiamati seduttori.
Michela Murgia riporta che a Cabras, la sua città di origine, sulla costa occidentale della Sardegna, è tradizione mettere una sedia poco fuori dalla porta di casa e, da lì, raccontare una storia a tutto il vicinato. Si chiamano “racconti della soglia”, per l’appunto. Sono le solite vecchie storie, trite e ritrite all’infinito, con i soliti schemi narrativi, i soliti colpi di scena, i soliti personaggi e così via. Però è importante ripeterle. Di quelle soglie sono guardiani irreprensibili, guai dimenticarle.
Del don Giovanni esistono molteplici versioni. L’originale è quella attribuita a Tirso de Molina, l’opera teatrale scritta nel 1616 e intitolata L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra. Alla fine don Giovanni viene trascinato all’Inferno. La Murgia ha scelto in questo caso di parlare de Il dissoluto punito ossia Don Giovanni, opera lirica di Wolfgang Amadeus Mozart e Lorenzo Da Ponte. Anche qui, alla fine don Giovanni viene trascinato all’Inferno.
Michela Murgia, con un po’ di amara ironia, ci dimostra come abbiamo dimenticato la storia di don Giovanni e la sua fine. Siamo abituati ad usare quel nome, in maniera quasi scherzosa, per indicare un corteggiatore elegante ed intraprendente, ma sarebbe più adatto per uno stupratore. Più che di amore, con don Giovanni si tratta di potere, egli non ama le donne, le viola con la forza e le usa come un mezzo per raggiungere un altro obiettivo: fare un torto ai loro padri, ai loro mariti e ai loro fidanzati, come sottolinea la Murgia in maniera molto arguta.
Questa figura sinistra che si aggira per le strade di Siviglia, abita anche nelle nostre fantasie. È un archetipo del nostro immaginario con il quale bisogna fare i conti prima o poi, sia uomini che donne, non fa differenza. Quello della sua infallibilità è solo un mito, tenergli testa è possibile, anzi, è la prassi.
Don Giovanni è una maschera, non ci può essere redenzione né pentimento per lui, la morte piuttosto. Don Giovanni, come viene spesso sottolineato dalla Murgia, è un predatore: combattere contro di lui sarebbe come combattere un animale che non ha coscienza. Don Giovanni è un costume vuoto, cucito a regola d’arte da chi, come Leporello e Donna Elvira, non è in grado di discernere il bene dal male. Ed è a loro che in ultimo deve andare la nostra comprensione e il nostro rimprovero. È importante ripeterlo.
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di e con Michela Murgia
fisarmonica, Giancarlo Palena
In collaborazione con Società dei Concerti
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