La storia di Adriana, impersonata da Ivana Monti, in scena al Teatro Franco Parenti dal 15 al 25 luglio 2020, abita le mura strette di una cucina anni settanta, sbiadita dal passare degli anni e dal contrasto con l’intensa concretezza dei ricordi che l’anziana milanese sgrana uno dopo l’altro, quasi senza prendere fiato, come seguendo il filo di un rosario. È una casa che Adriana sa di essere costretta a lasciare presto a causa di politiche di riqualificazione dell’ALER che non riesce bene a capire. Dagli scatoloni del trasloco, aperti e sparpagliati per terra, emergono insieme vestiti e ricordi, fantasmi molto più concreti della carta da parati della stanza, che sembra man mano sfumare per lasciare spazio alla memoria plasmata dalle parole della protagonista. Un abito azzurro da ragazza ci racconta della giovane Adriana, la più bella del Lorenteggio, figlia della seconda guerra mondiale, cresciuta con i rumori e la paura delle bombe. I guanti del padre ci parlano di lui, partigiano e appassionato di opera, padre amorevole ma pronto a scaldarsi in risse fuori casa. I ricordi si susseguono uno dopo l’altro ininterrotti: la morte del padre, lo smarrimento della madre, un bimbo in arrivo senza un padre con cui crescerlo. È una tutina da bimbo ad aiutarci in questa transizione, introducendoci in questa parte di passato in cui i ricordi diventano più difficili e struggenti. Perché, mentre Adriana sembra non riuscire a riporre la tutina da bebè, lo spettatore già lo intuisce, questa storia non finirà bene: una madre assente perché costretta a lavorare, una nonna un po’ svanita per il dolore, un patrigno con cui il bimbo non va proprio d’accordo, l’adolescenza, le assenze da scuola, l’eroina, la morte per droga annunciata dalle parole sbrigative di un poliziotto. Ma oltre all’Adriana preda dei ricordi c’è anche l’Adriana del presente, scorbutica, ingenuamente razzista, seccata dai venditori porta a porta e da un mondo con cui non ha più voglia di rimanere al passo, irritabile, irritante, grottescamente comica. È la combinazione fra l’abisso del ricordo e la patina di anziana della porta accanto a dare la giusta combinazione di realismo, trovando un compromesso fra l’eccessivamente comico e l’eccessivamente patetico per creare un ritratto vero. Più temibile dei fantasmi del passato, più indefinito eppure così vicino, è lo spettro dell’ALER, i cui impiegati potrebbero arrivare da un momento all’altro per portarla via sradicandola dalla sua casa e dai suoi ricordi, lei che, come ripete spesso, “è una vita che sta qui”.
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“Una vita che sto qui”
di Roberta Skerl
con Ivana Monti
regia Giampiero Rappa
scene Laura Benzi
luci Marco Laudando
assistente alla regia Maria Federica Bianchi e Beatrice Cazzaro
montaggio video Alberto Basaluzzo
macchinista Paolo Roda
elettricista Nicola Voso
sarta Simona Dondoni
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti
Produzione Teatro Franco Parenti
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