di Alice Strazzi
Sulla morte senza esagerare, spettacolo ideato e messo in scena dalla compagnia Teatro dei Gordi, racconta il momento della fine con grande ironia e leggerezza, mostrando differenti atteggiamenti umani nell’affrontare gli ultimi istanti di vita. Tutto ciò viene realizzato mediante l’impiego di maschere contemporanee e di una gestualità capace di una comunicazione piena e profonda tanto da poter sostituire totalmente la parola, non più necessaria.
La compagnia Teatro dei Gordi torna nuovamente al Teatro Franco Parenti con questo spettacolo, dando così inizio alla stagione estiva 2020 in sala e caratterizzandosi inoltre come simbolo della riapertura e della ripartenza dei teatri milanesi.
Ho avuto l’occasione di incontrare Riccardo Pippa, regista della compagnia, per una chiacchierata su questo suo lavoro.
Sulla morte senza esagerare torna al Parenti aprendone la stagione estiva in sala. In che modo, in seguito a quanto successo in questi mesi, lo spettacolo tiene conto di quanto ci sta accadendo?
Noi partiamo da uno spettacolo che è di per sé inattuale e contemporaneo, può perciò parlare al presente senza fare attualità. Sapevamo già di avere quindi un punto di partenza chiaro e solido valido anche per questo periodo, perciò ci siamo permessi di lavorare con molta libertà. Abbiamo aggiunto dei segni del presente senza però inquadrare la nostra messinscena unicamente nel vissuto di questi mesi: ad esempio, il personaggio del ragazzo in bicicletta investito da una macchina era già parte dello spettacolo, abbiamo però deciso di farne un rider addetto alla consegna di pizze, sapendo che ciò avrebbe richiamato non solo il periodo da poco trascorso ma, più in generale, alcune dinamiche dei giorni nostri in senso più ampio. La decisione di mettere nuovamente in scena questo spettacolo è nata dalla volontà di continuare la riflessione sul tema del trapasso e del lutto derivante da quanto accaduto durante la quarantena, momento che ha sicuramente negato a tanti che se ne stavano andando il conforto di una visita, a chi è rimasto ha invece sottratto la possibilità di condividere il lutto in presenza. Abbiamo inoltre ritenuto che il bisogno di affrontare la questione della morte fosse nato da una sensibilità comune e condivisa con il pubblico, ciò che è successo ha colpito trasversalmente tutti. In ogni caso non avremmo potuto non cogliere il nuovo significato aggiuntivo che questo spettacolo certamente ha acquisito.
Per quanto riguarda l’aspetto più pratico della messinscena, abbiamo avuto la fortuna di avere realizzato una produzione teatrale che non doveva piegarsi alle attuali norme di distanziamento grazie all’impiego delle maschere.
Qual è il rapporto tra la drammaturgia e la maschera? Quale delle due parti nasce prima e come interagiscono tra loro?
Si inizia sempre dalla drammaturgia, da una sorta di canovaccio, a partire dal quale poi faccio richieste specifiche ad Ilaria Ariemme, la mascheraia. Spesso l’indicazione drammaturgica si lega ad alcune scelte guidate da un’ispirazione più libera e connessa maggiormente alle sensazioni, infatti le maschere utilizzate in Sulla morte senza esagerare sono nate dall’osservazione di un catalogo di quadri di Otto Dix che ci hanno molto colpiti.
Le maschere però sono abbastanza sorprendenti, alcune infatti nascono in modo casuale: ad esempio, avevo chiesto la maschera di una bambina ma, una volta realizzata, ci siamo resi conto del fatto che fosse troppo piccola per il volto dell’attrice che avrebbe dovuto indossarla, Ilaria perciò ha cercato di allungarle il mento. Così facendo però la fisionomia della bambina è stata totalmente stravolta, allora le sono state aggiunte delle rughe in modo tale da realizzare la maschera di una donna anziana. La particolarità di questa realizzazione nasce proprio dal fatto che, nonostante la fisionomia del volto sia stata modificata, lo sguardo è rimasto quello della maschera-bambina. Forse proprio per questo è una delle maschere più potenti del nostro spettacolo. In questo caso quindi si è verificato il processo inverso: la drammaturgia si è adatta alla maschera realizzata. La tecnica utilizzata per queste creazioni rende impossibile la produzione di una maschera uguale a un’altra. Questo risulta evidente nei due personaggi rappresentanti la Morte presenti nella messinscena: una maschera è più scura e severa, i suoi tratti sono squadrati, l’altra invece è più chiara e presenta uno sguardo più morbido. Sono diversissime, eppure il calco dal quale sono state realizzate è identico. La cartapesta è un materiale imprevedibile a tal punto da rendere difficile la determinazione a priori del sesso della maschera. Sicuramente perciò esiste un’influenza reciproca tra drammaturgia e maschera: il punto di partenza è uno stimolo drammaturgico, poi però le maschere possono prendere in contropiede la drammaturgia che si ritrova a dover agire di conseguenza.
La scelta dell’impiego della maschera è sicuramente particolare in quanto spesso in controtendenza rispetto alle consuetudini del teatro contemporaneo, questo perchè essa viene percepita dall’attore come una limitazione dell’espressività e della comunicazione. Perché quindi questa scelta? Quale tipo di lavoro viene fatto per evitare una possibile perdita della componente comunicativa?
La nostra è una scelta abbastanza radicale ma non nasce come preferenza comunicativa a priori: in Sulla morte senza esagerare è stata prima di tutto una scelta di immagine, ispirata più dalla drammaturgia che dalla volontà di impiegare questo linguaggio, il codice espressivo è giunto in seguito ad accompagnare il soggetto che volevamo rappresentare. La maschera riesce efficacemente a segnare l’esistenza di due mondi compresenti: sulla scena scegliamo infatti di presentare attori con la maschera ma anche senza, questo proprio perché l’impiego della maschera non deriva da una scelta di stile a priori, ma da una necessità drammaturgica, in questo caso relativa alla rappresentazione del trapasso.
Nella comunicazione risulta fondamentale lo sguardo, lavoriamo molto su questo. Lo sguardo è la vita della maschera. È per noi sempre necessaria una fase laboratoriale nella quale esploriamo le maschere, le sistemiamo, aggiungiamo dei particolari per accentuarne l’espressività. In questa fase ci concentriamo primariamente sulla vitalità dello sguardo della maschera, perciò per prima cosa la indossiamo per guardarci, per relazionarci con lo sguardo. Sulla morte senza esagerareè uno spettacolo costituito dall’alternanza di sguardi e di azioni. Le nostre maschere necessitano controllo dell’azione e movimenti puliti e minimali.
A spettacolo concluso permettete agli spettatori di vedere da vicino e di toccare le maschere, di confrontarsi direttamente con voi rivolgendovi domande, esponendo osservazioni o riflessioni. Sicuramente tutto ciò è utile e stimolante per il pubblico. Voi invece, cosa vi portate a casa da questo confronto?
Prima di tutto questo contatto con il pubblico è una sorta di “termometro” in grado di rilevare l’atmosfera presente in sala, infatti la nostra percezione, che possiamo definire “interna”, è sempre molto spesso diversa da quella riscontrabile invece nel pubblico. Questo confronto ci permette di capire ciò che ciascuno spettatore ha visto e di diversificare le modalità di lettura della nostra messinscena filtrandola attraverso la sua ricezione.
Lavoriamo sulla creazione di immagini che non sono più unicamente nostre nel momento in cui il pubblico le interiorizza, è sempre sorprendente scoprire ciò che gli spettatori percepiscono.
Nel momento in cui comprendo che quanto abbiamo realizzato non appartiene più solamente a noi ma ci supera in qualche modo, sento di lavorare nel modo giusto.
Inoltre ci fa piacere parlare del nostro percorso, confrontandoci anche con ragazzi che vorrebbero lavorare in teatro o che già lo fanno, i quali spesso sono molti interessati ad alcune dinamiche specifiche del processo di creazione artistica e di messinscena.
La drammaturgia di Sulla morte senza esagerare si intreccia frequentemente con i versi della poetessa polacca Wisława Szymborska. Come nasce l’interesse nei confronti dei suoi componimenti poetici e cosa rimane del suo stile all’interno della vostra messinscena?
Nel momento in cui il lavoro è stato ideato, e anche nella prima parte dell’effettiva realizzazione, la poesia della Szymborska, che dà anche il titolo allo spettacolo, non era ancora presente. È emersa durante uno dei numerosi cerchi di confronto che realizziamo nel percorso di elaborazione per condividere materiali, immagini, suggestioni. Abbiamo sentito che c’era sintonia tra quello che era il modo di scrivere della Szymborska e il tipo di ironia, leggerezza e radicalitàinsieme che volevamo trasmettere. Abbiamo inoltre pensato che questa poesia potesse essere un po’ la linea guida del nostro atto unico, infatti i versi presenti nello spettacolo appartengono tutti a questo stesso componimento e lo accompagnano dall’inizio alla fine.
Che importanza ha per voi e quale influenza ha sul vostro modo di lavorare il rapporto stabile creatosi con il Teatro Franco Parenti?
In questo momento il rapporto con il Parenti è vitale per noi. Per quanto riguarda Sulla morte senza esagerare Andrée Shammah ci ha dato molto spazio anche grazie alle repliche programmate per la stagione estiva. È fondamentale inoltre l’aspetto progettuale: ci permette di lavorare con continuità nella realizzazione dei nostri spettacoli. Per la nostra compagnia la progettualità è assolutamente necessaria.
Ciò che apprezziamo molto è l’assoluta libertà di creazione che ci viene data, non c’è alcun tipo di ingerenza, c’è stato semmai un interesse di Andrée nei confronti dell’indagine da noi condotta sul rapporto “attori con la maschera e attori senza maschera”. Vi è quindi un comune accordo sulla linea di ricerca da seguire.
Per maggiori informazioni clicca qui
ideazione e regia Riccardo Pippa
di e con Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Matteo Vitanza
scene, maschere e costumi Ilaria Ariemme
disegno luci Giuliano Bottacin
cura del suono Luca De Marinis
tecnico audio-luci Alice Colla
organizzazione Camilla Galloni
distribuzione Monica Giacchetto
foto Laila Pozzo
produzione Teatro dei Gordi / Teatro Franco Parenti
Selezione Visionari Kilowatt Festival e Artificio Como 2016
Vincitore all’unanimità del Premio alla produzione Scintille 2015
Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro 2015, indetto dall’Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine: spettacolo vincitore del Premio Speciale, Premio Giuria Allievi Nico Pepe e Premio del Pubblico
Premio Hystrio-Iceberg 2019
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