di Alice Strazzi
A distanza di un anno, torna di nuovo in scena al Parenti I Promessi sposi alla prova, e qui rimarrà fino al 23 febbraio. Spettacolo cardine del teatro di via Pier Lombardo, nato nel 1984 e memoria vivente del significativo sodalizio artistico tra Franco Parenti e Giovanni Testori, I Promessi sposi alla prova viene nuovamente portato in scena da Andrée Ruth Shammah: “Per quanto lontano dai noi e dallo spirito del nostro tempo, un classico è tale perché capace di risvegliare dubbi ed emozioni proprie a tutti gli esseri umani”.
E come comunicare la grandezza e l’attualità della parola manzoniana (e testoriana) al pubblico di oggi e alle nuove generazioni se non attraverso la voce fresca e vivida dei giovani attori che ritroviamo in scena?
Filippo Lai, Nina Pons e Sebastiano Spada sono i nuovi interpreti scelti per rappresentare la generazione dei giovani nell’opera testoriana: rispettivamente Renzo, Lucia e don Rodrigo.
Ho avuto il piacere di incontrare Filippo, Nina e Sebastiano e di fare loro qualche domanda.
I Promessi Sposi alla prova è sicuramente uno spettacolo fondamentale e di vitale importanza per la storia del Teatro Franco Parenti. Che significato ha, per dei giovani attori come voi, entrare a far parte di tutto questo?
Nina: «Vorrei partire da un concetto semplice. Per dei ragazzi come noi, appena diplomati e alle prime esperienze, non poteva capitare opportunità migliore: I Promessi Sposi alla prova si basa proprio sul mestiere dell’attore, ci ha permesso di lavorare approfonditamente sul concetto di ‘personaggio’, senza un lavoro solido su questo elemento lo spettacolo è irrealizzabile. Le identità in gioco sono tre: noi ci ritroviamo ad essere contemporaneamente la persona, l’attore e il personaggio, e ciascuna di queste parti deve riuscire a trasmettere e ad insegnare qualcosa all’altra; è lavoro attoriale a 360°. La parola ‘prova’ in tutto ciò risulta fondamentale: questa messinscena è prima di tutto una prova veramente grande per noi – mi permetto di parlare al plurale perché ormai ci conosciamo e sono certa che ciò che dico valga per tutti e tre – così giovani ‘in uno spettacolo così importante e di lunga durata. È stata una prova anche dal punto di vista della lingua: nonostante la nostra provenienza – Filippo è fiorentino, Sebastiano siciliano e io sono romana – ci siamo ritrovati a dover recitare in dialetto milanese. È inoltre una prova di vita: proprio in questo momento storico, come dice Andrée, è necessario interrogare i classici perché, in quanto tali, sono sempre in grado di stimolare la nostra riflessione su valori importanti. In particolare noi giovani dobbiamo cercare costantemente di ‘mettere alla prova’ ciò che ci viene trasmesso.»
Filippo: «Sono molto d’accordo con quanto detto. Posso solo aggiungere che un’ulteriore prova è stata quella di confrontarci direttamente con le parole di Manzoni e di riuscire ad entrare in personaggi apparentemente molto distanti da ciò che siamo noi. È necessario percepire l’intersecarsi di diversi piani: bisogna comprendere prima di tutto le vicende che, di questi personaggi, ci racconta Manzoni, ma poi anche i valori che il maestro cerca di ritrovare nell’opera e il modo in cui il tuo personaggio si pone nei confronti di tutto questo.»
Sebastiano: «Significativo è stato per noi inoltre il dover stare in scena con attori di chiara fama e lunga carriera. Fino a questo momento ci era capitato di lavorare e di confrontarci con gruppi di coetanei. Questa prova funziona anche per la sua trasversalità da un punto di vista generazionale. C’è chi ha una lunga carriera, come Luca Lazzareschi, e perciò interpreta il ruolo del maestro, e chi invece, come noi, fa il giovane allievo. Proprio questa divisione dei ruoli e l’idea di una figura esperta in grado di trasmettere qualcosa ai più giovani, è l’ulteriore aspetto di contatto tra la vita e il palco: non è una semplice lezione di recitazione ma è un lavoro su se stessi, sul proprio sentire, il maestro lavora su queste persone per farle diventare personaggi mettendoli alla prova.»
Ci sono dei momenti, durante lo spettacolo, in cui vi è una totale sovrapposizione tra persona, attore e personaggio, tanto da non riuscire più a distinguere tra loro. Come avete lavorato per raggiungere questo risultato? Inoltre emerge un forte legame tra voi e il vostro personaggio. Come siete riuscite a istituirlo?
Nina: «Ho lavorato molto a tavolino con Andrée sulla costruzione dell’attrice che interpreta Lucia, dandole anche un nome: prima di essere Lucia sono Francesca, una giovane parrucchiera di Olate, che la sera di corsa va dal maestro perchè ama molto I promessi sposi e lui le insegna attraverso l’opera a vivere. La creazione di Francesca mi ha permesso di essere più vicina al ruolo dell’attrice che dovevo interpretare. In ogni caso, non c’è una distinzione precisa tra ciò che si è, l’attore e il personaggio: è un continuo ‘entrare e uscire’ dai vari ruoli.»
Sebastiano: «A volte è molto chiara la differenza tra i vari ruoli, ma in certi momenti non è davvero possibile scinderli. Credo proprio che la continua rottura e confusione tra i diversi piani sia la reale forza dello spettacolo. La separazione e la differenziazione tra personaggio e attore a volte si annulla totalmente, giungendo così ad una perfetta sovrapposizione.»
Filippo: «Ed è proprio questa la scommessa di Testori e della Shammah: perché ancora oggi mettere in scena I promessi sposi alla prova? Perché tutt’oggi certi assoluti, certi valori e certe verità proferite dal romanzo sono valide ancora: proprio per questo c’è confusione tra le battute dell’attore e del personaggio manzoniano che esiste proprio nel momento in cui vengono raccontati i fatti che lo riguardano.»
C’è una parola o una frase che secondo voi è in grado di descrivere il personaggio che avete messo in scena? Qual è? E perché?
Filippo: «La parola che riguarda il mio personaggio è presente proprio nel romanzo di Manzoni: ilare furia. Questa dimostra come comunque nel personaggio di Renzo vi sia un fuoco che lo muove e che viene rivendicato dall’attore che nell’opera di Testori lo interpreta. Renzo è animato da vivo coraggio, da un forte desiderio nei confronti di Lucia, è presente in lui anche una forma di violenza nei confronti del prepotente, il desiderio di rivolta. È insomma la furia della giovinezza che lo domina in certi momenti e che, secondo me, lo rappresenta profondamente.»
Nina: «L’attrice che interpreta Lucia all’inizio dice: ‘Su di noi si è fatta una tale cattiva interessata e beghinissima letteratura’. E proprio questa mostra quale sia l’obiettivo della mia Francesca: lei rivendica l’identità del suo personaggio ma anche quella degli altri, non parla solo per sé. Vuole mostrare come Lucia non sia la ragazza bigotta di paese ma tutt’altro: è protettiva nei confronti delle persone a cui tiene e anche attraverso la sua scelta di fare voto di castità rivela il suo amore puro e vero per Renzo.»
Sebastiano: «Il vero problema di don Rodrigo è che forse non riesce a pronunciare veramente la parola che lo contraddistingue, che gli dà forza, che lo salva, e proprio per questo è il personaggio che impara la lezione più di tutti. Parte rivendicando il suo essere un personaggio di rottura, non solo nel romanzo di Manzoni, ma soprattutto nell’opera di Testori: è l’unico che si oppone al maestro e come tale solo il suo attore non interpreta nessun altro personaggio. Tutti gli altri sperimentano anche altri ruoli, lui no, rimane sempre e comunque l’antagonista. E questo suo rimanere da parte, il suo essere anticonformista e pretenzioso si contrappone all’unica parola che potrebbe descriverlo per antitesi: fratellanza, la parola che lui rifiuta ma che nel finale è costretto a dover riconoscere.
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di Giovanni Testori
adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
con Luca Lazzareschi, Laura Marinoni
e con Filippo Lai, Claudia Ludovica Marino, Nina Pons, Sebastiano Spada e la partecipazione di Carlina Torta.
scene Gianmaurizio Fercioni
luci Camilla Piccioni
musiche Michele Tadini e Paolo Ciarchi
produzione Teatro Franco Parenti/Fondazione Teatro della Toscana
con il sostegno dell’Associazione Giovanni Testori
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