di Giacomo Guidetti
Nella confortevole intimità della Sala Tre del Teatro Franco Parenti, il chiacchiericcio sommesso della platea si arresta bruscamente quando gli astanti comprendono che gli schiamazzi provenienti dall’esterno sono in realtà l’atto iniziale dello spettacolo, in questo modo due figure indistinte si impossessano prepotentemente della scena.
E subito, in uno spumeggiante dialogo marcato da un forte accento siciliano, Giovanni e Rosalia ci conducono verso una terra lontana nel tempo e nello spazio, regolata da ritmi e valori che ci paiono lontani.
Tra i due protagonisti intercorre un rapporto speciale, che va oltre a quello parentale che li unisce: Rosalia è mamma, sorella ma anche amica e confidente di Giovanni; sa che lui, nella sua casta ingenuità, è l’unico di cui può veramente fidarsi e per cui sa di essere veramente importante.
Tra le asfissianti mura natie, dove si sente potente l’eco di una Sicilia arcaica e impietosa, i due cugini crescono tra dispetti e gentilezze, abbracci e zuffe, con una grandissima passione in comune per la danza: perché quando hai la musica che ti scorre nelle vene, che cosa ci puoi fare?
A questo punto dello spettacolo il ritmo si fa sempre più incalzante e con esso i dialoghi più concitati e l’azione sempre più schietta e spedita. Nella sala da ballo dove Rosaria prende lezioni di danza, il puro Giovanni, che mai niente con nessuno aveva fatto, conosce il godimento carnale attraverso il corpo possente dell’infuocato maestro di ballo della cugina. Il maestro Giuseppe però è sposato, nessuno deve sapere che è gay. Chissà cosa penserebbe la gente! O il pubblico scorno a cui sarebbe sottoposta sua moglie se la voce si spargesse. Ma l’innocente Giovanni fatica a capire tutto questo: perché non può vivere il suo amore come lo sente, davanti agli occhi di tutti?
Rifuggendo quanto più possibile quell’ampollosa retorica che spesso avvolge questi temi, la regia di Joele Anastasi cerca di tessere un rapporto personale con ognuno dei presenti, per offrire un momento di riflessione e introspezione. Per favorire il processo di immedesimazione dello spettatore, Anastasi utilizza ampiamente il monologo, strumento atto a veicolare una pluralità di punti di vista per cui ci risulta difficile abbandonare la sala senza provare un’immensa amarezza ma anche una grande empatia verso ognuno dei miserandi protagonisti di questo dramma davanti al quale non possiamo rimanere estranei.
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uno spettacolo di Vuccirìa Teatro
drammaturgia e regia Joele Anastasi
con Joele Anastasi, Enrico Sortino, Federica Carruba Toscano
light designer Joele Anastasi
aiuto regia Nicole Calligaris
foto Dalila Romeo
video Davide Marucci
graphic designer Giuseppe Cardaci
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
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