di Camilla Pelosi
Buio, sulla scena: parla Alessandro Albertin e ci trascina pian piano in un monologo mozzafiato che ci tiene con gli occhi incollati al palco fino al momento del congedo. Non ha bisogno di particolari artifici o effetti speciali per allestire le mille sfaccettature di un’esistenza singolare come quella di Giorgio Perlasca: è solo sul palco, ma la sua abilità di creare lo spazio attraverso il linguaggio del corpo stuzzica la nostra immaginazione un po’ intorpidita e la accompagna nella creazione di mille luoghi e personaggi. Solamente la figura dell’attore è illuminata e i suoi gesti, che accompagnano e integrano la parola, permeano l’aria circostante. Questi diventano come pennellate materiche che tengono traccia dei suoi spostamenti, facendone l’impalcatura per una scenografia tutta di luce.
L’azione come mezzo di costruzione, d’altra parte, è il messaggio ultimo di tutto lo spettacolo. In apertura, Albertin ci invita a riflettere sulla piattezza inconsistente del “Mi piace” al quale ci hanno abituati i social network: un gesto comodo, quasi istintivo, che ci libera dal fardello di documentarci ed elaborare un’opinione nostra sul mondo che ci vive attorno.
Così fioccano “Mi piace” attorno agli orrori di attentati e guerre. Ora che qualcuno ci interroga al proposito ci rendiamo conto che è un fenomeno piuttosto grottesco, visto da fuori: ma davvero, a chi potranno mai piacere i più di cento morti del Bataclan? Perché non abbiamo inventato il tasto “Non mi piace”?
Pensare “fuori dalla scatola” del mondo virtuale è una sfida del Ventunesimo secolo, ma il dilemma dell’azione, del “coraggio di dire no”, come recita il titolo dello spettacolo, accompagna l’uomo da tempo immemore. Perlasca ce ne fornisce una soluzione: agire attraverso la parola. Il nostro commerciante di carni veneto non è un eroe da prima pagina e citazioni scritte sui muri: è un eroe borghese, che non rinnega un’iniziale adesione al fascismo e che a Budapest ci finisce per ragioni di lavoro. Eppure, quando vede coi propri occhi gli orrori che subiscono gli ebrei sotto il regime delle Croci Frecciate, non si tira indietro alla chiamata della propria coscienza. Riesce a portare a proprio vantaggio il sistema di valori distorto del nazionalsocialismo e a sfruttare il proprio talento di commerciante per contrattare su una merce del cui valore inestimabile pare se ne sia persa memoria: la vita umana.
Attorno a questa figura eccezionale ruota un catalogo di personaggi vivacissimo, ognuno disegnato con pochi, efficaci pennellate. Albertin è uno, nessuno, centomila: si sfila i panni di console spagnolo e indossa quelli di funzionario nazista senza battere ciglio e senza perdere un briciolo di autenticità. Ulteriore prova del fatto che la vita vera richiede dinamismo, partecipazione, forme multiple, che mai potranno essere ingabbiate nella sterile unità di un “Mi piace”.
Lo spettacolo si chiude con la riproduzione di uno stralcio di intervista al vero Perlasca, nella quale dichiara di sperare che la sua storia possa essere un incentivo all’azione per i giovani d’oggi. Quando si cala il sipario sarebbe giunto il momento di riaccendere i telefonini, ma questa sera penso che saremo in molti a tenerli in tasca.
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di e con Alessandro Albertin
regia Michela Ottolini
luci Emanuele Lepore
produzione Teatro de Gli Incamminati
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