IL FANTASMA DELL’OPERA PANICA

di Luka Bagnoli

Imperdibile. La nostra fragilità è davvero uno spettacolo imperdibile.

Qualche mese fa dovetti scegliere, a scatola chiusa, un evento da consigliare in vista della nuova stagione al Teatro Franco Parenti. Senza dubbio fu una scelta azzeccatissima, un consiglio assolutamente da rilanciare: dunque, fino al 13 ottobre sarà possibile prender parte all’Opera panica firmata da Fabio Cherstich e tratta dalla pièce originale di Alejandro Jodorowsky. Un cabaret tragico (cabaret perché si ride, tragico perché si pensa), coinvolgente ed umoristico; ventisei scene dove l’attualità assurda e sfigurata ci colpisce più vera e violenta che mai.

Per chi non lo conoscesse, Alejandro Jodorowsky è un artista cileno, famoso soprattutto per i suoi lungometraggi surreali. Ricordiamo, tra questi, El topo (film amato da John Lennon) e La Montagna sacra. Esperto di tarocchi, ha diffuso la disciplina della Tarologia, svincolando l’arte di leggere le carte da superstizioni e ciarlatanerie; inoltre, ha sviluppato negli anni la pratica della Psicomagia, ovvero una sorta di psicanalisi che fa di gesti simbolici e “rituali” uno strumento per affrontare e superare traumi inconsci.

Di simbolismi vari, più o meno palesi, il testo è pieno e la regia di Cherstich ha la facoltà di restituire con precisione ed esuberanza qualsivoglia sfumatura. Dietro l’assurdità, la comicità e l’apparente nonsense serpeggia una profonda inquietudine, una nota dark che ci ricorda l’abisso nascosto sotto la contemporaneità sgargiante.  La scenografia è agile, priva di fronzoli; siamo ben lontani da un’idea classica di teatro, benché non si arrivi a sfiorare lo sperimentale. Degno di nota è l’utilizzo del microfono, di una telecamera e di uno schermo, di distorsori visivi e vocali: specchi di una realtà mutante e controversa.

Il cast è zelante, alcune battute sono lanciate come coltelli contro il pubblico (che ricopre il ruolo di vittima sacrificale), altre fanno semplicemente ridere e tanto basta. Espressione e corpo sono le parole d’ordine, portate all’eccesso per ritrarre un’umanità dilaniata, spoglia e corrotta; dinnanzi alle contraddizioni, ai paradossi ed ai cortocircuiti del pensiero, che sono l’essenza delle ventisei brevi “improvvisazioni” che compongono lo spettacolo, non si può far altro che gridare in silenzio.

Una menzione speciale va ai DUPERDU, che con i loro sorrisi psicopatici e le loro melodie ci accompagnano attraverso il contrappunto di scene, come figure ricorrenti in una serie di fotografie. Le loro canzoni originali sono un omaggio a Jodorowsky, alle sue opere ed alla sua poetica: un pastiche, a tratti quasi incomprensibile, di varie lingue che rimane impresso nella mente, una “selva di significanti” dalla quale è difficile districarsi.

Sul finale ognuno tragga le proprie conclusioni, cerchi il senso che più lo aggrada: ce ne sono molteplici e sono tutti corretti, intimi ed irrivelabili come certi pensieri. Non si può far altro che uscire dalla sala scossi, forse persino arrabbiati con noi stessi per non essere migliori di come siamo: Jodorowsky direbbe “un atto psicomagico collettivo”, ma credo che catarsi sia un termine più familiare. Tra attori e pubblico si è rotto il velo, sul palco abbiamo visto un fantasma (il nostro) e ci ha fatto paura; quello spettro che ci accompagna ogni giorno, mentre si consuma il folle ballo della ragione.

Per maggiori informazioni clicca qui

di Alejandro Jodorowsky
traduzione di Antonio Bertoli
con Valentina Picello, Francesco Brandi, Loris Fabiani, Francesco Sferrazza Papa
e con i DUPERDU (Marta Maria Marangoni e Fabio Wolf, autori e interpreti delle canzoni originali) e altri in via di definizione
regia e spazio scenico Fabio Cherstich
costumi Gianluca Sbicca

produzione Teatro Franco Parenti
Spettacolo vincitore NEXT – Laboratorio delle idee per la produzione e la distribuzione dello spettacolo dal vivo lombardo – Edizione 2016/2017

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