di Valeria Nobile
Dal 12 al 17 marzo il Teatro Franco Parenti assume nuovamente connotati internazionali grazie a The Wily Widow, una frizzante commedia di Stefania Montesolaro e Silvia di Marco scritta e recitata interamente in lingua inglese.
Strizzando sapientemente l’occhio a Goldoni, la commedia unisce tutta l’arguzia e la delicatezza del British humour alla sempre affascinante ambientazione veneziana, nel tentativo di realizzare quello che potremmo definire un “classico contemporaneo”.
Il primo elemento che salta all’occhio dello spettatore è sicuramente la recitazione. La differenza tra l’impostazione inglese e quella italiana risulta, ahimè, fin troppo evidente. Messa a confronto con la brillante e incalzante recitazione dei colleghi inglesi sul palco, la performance della Montesolaro appare lievemente “stiff”, come direbbero Oltremanica. È Penelope Maynard a dominare la scena con il suo divertente ritratto di Teresa, anziana cameriera e figura materna per più di un personaggio in scena.
I rimandi goldoniani si manifestano soprattutto nella caratterizzazione caricaturale dei personaggi che ricordano le tradizionali maschere della Commedia dell’Arte, specialmente i ruoli di Roderick O’Grady e Richard Stirling. Anche nel nucleo tematico della commedia si possono riconoscere alcuni tratti goldoniani, come la tematica del denaro, dell’amore e, implicitamente, del ruolo della donna.
Nonostante i cambi scena spesso troppo lunghi e accompagnati dalle incessanti note di “River Flows in You” di Yruma, la regia di Vernon Thompson è incisiva ed attenta al dettaglio. Particolare encomio va attribuito alla notevole capacità di gestione dello spazio scenico. La superficie ridotta del palcoscenico della Sala AcomeA viene sfruttata al massimo: spostando sapientemente – e frequentemente- i numerosi arredi di scena, veniamo efficacemente trasportati dagli interni del Palazzo Guerini agli esterni del medesimo, su una balconata resa suggestiva dall’uso delle luci che ricreano immediatamente l’atmosfera notturna sul Canal Grande. Ottimo anche l’utilizzo della tecnica del freeze frame, una sorta di fermo immagine che consente di facilitare i cambi scena quando ci sono più azioni che si svolgono contemporaneamente.
È necessario, infine, spendere alcune parole sul lavoro linguistico che sta dietro a questo spettacolo. La scelta di portare sulle scene milanesi uno spettacolo in lingua è certamente coraggiosa ed encomiabile. Aver corredato, poi, lo spettacolo di sovratitoli in italiano ha sortito un doppio effetto: se, da un lato, lo spettatore è aiutato nella comprensione di ciò che sta accadendo sulla scena, dall’altro è però limitato dagli stessi sovratitoli che fanno perdere momenti preziosi di linguaggio non-verbale che da sempre arricchiscono le performance degli attori. Dal punto di vista logistico, poi, la scelta di sacrificare l’intero fondale per i sovratitoli, può essere considerato uno svantaggio ulteriore. Ad ogni modo, portare in scena uno spettacolo in lingua consente non solo di testare le proprie conoscenze linguistiche in modo divertente e coinvolgente, ma anche di cogliere quei meravigliosi giochi di parole – i cosiddetti puns– che rendono la lingua inglese vivace ed attraente.
Se anche voi volete mettere alla prova il vostro inglese e passare due ore in allegria e spensieratezza, correte a teatro e fatevi coinvolgere da questi originali esperimenti goldoniani!
di Stefania Montesolaro e Silvia Di Marco
con Joseph Prestwich, Roderick O’Grady, Penelope Maynard, Stefania Montesolaro, Richard Stirling
regia Vernon Thompson
produzione Teatro Franco Parenti
in collaborazione con Weareon Productions
Per maggiori informazioni cliccate qui
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