Il caso Braibanti: l’amore deve sempre osare dire il suo nome

di Beatrice Salvioni

Lo scrittore Massimiliano Palmese porta in scena il processo e la condanna di un uomo, un poeta, un innamorato, un artista, la cui voce vive ancora oggi, nel tempo effimero e prezioso del teatro, per ricordarci che l’amore non deve mai avere paura. Sul palco del Franco Parenti dal 6 al 18 novembre.

“Pensa alla storia della mia lettera: il legale di tuo padre l’accusa di essere un insidioso e ributtante tentativo di corrompere l’innocenza; alla fine diventa prova d’accusa per criminalità. […] Il giudice la commenta con poca sapienza e molto moralismo. Sono infine condannato al carcere.” Così confessa Oscar Wilde nel De profundis, la lunga lettera che scrive a Alfred Douglas fra il gennaio e il febbraio del 1897, verso la fine della sua detenzione nel carcere di Reading, dove è stato costretto per due anni ai lavori forzati dopo la condanna per “Atti osceni”. Oscar Wilde, impietoso fustigatore delle ipocrisie della società vittoriana, si ritrova schiacciato dagli stessi indifferenti meccanismi contro cui aveva da sempre lottato con l’affilato stiletto della sua arte.

Nemmeno cent’anni dopo, in quel periodo tumultuoso e complesso che è il ’68, un altro artista, un’altra ingiusta condanna, un altro“amore che non osa dire il suo nome”. (Per citare un verso di una poesia di Bosie, nomignolo di Alfred Douglas, il ragazzo amato da Wilde.)

L’artista è Aldo Braibanti, scrittore, poeta e partigiano: l’accusatore è un padre cieco e autoritario, questa volta di Giovanni Sanfratello, un giovane che fuggiva dall’atmosfera soffocante della propria casa e trovava in Braibanti un rifugio e un mentore.

Vennero arrestati entrambi, Giovanni fu internato nel manicomio di Verona, Aldo fu accusato di plagio e, dopo un processo durato quattro anni, condannato e incarcerato. Alla condanna risposero le voci risolute di intellettuali come Alberto Moravia, Umberto Eco, Pasolini, Marco Bellocchio e Carmelo Bene. Braibanti condannato a nove anni, ne trascorse due in prigione, proprio come Wilde. E come il poeta inglese, non smise mai di scrivere.

Per fare l’amore bisogna essere in due e, a volte, anche per fare uno spettacolo. Fabio Bussotti e Mauro Conte interpretano i ruoli dei due protagonisti, ma trasmutano passando dalla parte opposta del tribunale, diventando gli avvocati e i genitori, alfieri di un mondo che non si decide ad ascoltare la voce di chi vuole cambiare, ma che, alla fine, non è capace di metterla a tacere.

Lo stesso Braibanti dirà trentacinque anni dopo la condanna: “Quel processo, a cui mi sono sentito moralmente estraneo, mi è costato due nuovi anni di prigione, che però non sono serviti a ottenere quello che gli accusatori volevano, cioè distruggere completamente la presenza di un uomo della Resistenza, e libero pensatore, ma tanto disinserito dal mondo sociale da essere l’utile idiota adatto a una repressione emblematica.”

Lo spettacolo, accompagnato dal sax di Mauro Verrone, si sviluppa sul testo plasmato da Massimiliano Palmese con documenti d’archivio, lettere e testimonianze che hanno permesso di ricostruire con fedeltà le fasi del processo; la regia è di Giuseppe Marini.

Uno spettacolo crudo e sincero che libera dalle pagine del passato la vicenda dolorosa di due uomini schiacciati dalle convenzioni, dalla cecità di un padre e di tutta una società; una vicenda che anche oggi continua a urlare la sua verità: l’amore non deve mai avere paura di dire il suo nome.

 

di Massimiliano Palmese
con Fabio Bussotti
e Mauro Conte
musiche composte ed eseguite dal vivo da Mauro Verrone
uno spettacolo di Giuseppe Marini

produzione Diaghilev

Lo spettacolo è nato all’interno della rassegna del Garofano Verde ideata e diretta da Rodolfo di Giammarco.
Il testo dello spettacolo è pubblicato nella collana Teatri di Carta dell’editore Caracò di Bologna.

Per maggiori informazioni clicca qui.

lo spettacolo rientra nel palinsesto di

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