di Beatrice Salvioni
Segnatevi questa data: Lunedì 15 Ottobre, ore 21.30. Alessandro Baricco al Franco Parenti ci presenta il suo The Game.
Che cos’é il The Game? Siamo noi, é la nostra civiltà digitale, la nostra realtà. Ancora non é chiaro? Arrivate fino in fondo e capirete, forse.
Chi meglio di un narratore può raccontarti un mondo, sviscerarlo e renderlo vivo? Alessandro Baricco, che nella sua esperienza di creatore di storie, di mondi indimenticabili ne ha fatti nascere e crescere (basti citare il monologo teatrale Novecento, i romanzi Castelli di Rabbia e Mr Gwyn o i racconti di Tre volte all’alba), nel suo ultimo libro: The Game, edito da Einaudi, (seguito del saggio pubblicato nel 2006: I barbari), ci racconta la realtà digitale e iperveloce nella quale siamo immersi, un mondo che possiamo plasmare con lo scorrere di un dito sullo schermo che teniamo in mano come il più semplice dei giochi.
Ed è proprio da un gioco che nasce questo mondo: Space Invaders, il primo videogioco della storia, bidimensionale, in bianco e nero, con alieni e astronavi fatti solo di un mucchio di pixel. Baricco parte da qui, è questa la prima tappa del viaggio che ci fa intraprendere, levando l’ancora dagli albori del mondo digitale con i pionieri di internet, i Commodore 64 e i primi browser, fino ad approdare al mondo di oggi in cui basta il tocco di un pollice per prenotare una cena, ascoltare un brano o acquistare un paio di scarpe.
Seguendo numerose tappe, raccontate con disinvoltura e precisione, Baricco ci porta nella cosmogonia del mondo digitale, una genesi pagana che parte dalla creazione di internet, in origine uno strumento inventato dagli americani per sfuggire alle spie russe durante la Guerra fredda, e passa attraverso le tappe dell’invenzione del Web (sì, non scuotete la testa perplessi: Internet e Web sono due cose diverse e se volete saperne di più intraprendete anche voi questo viaggio), della storia dei primi computer, quelle scatole grigie e pesanti che, messi a confronto con i nostri laptop ultraleggeri, hanno la grazia di un elefante. (Eppure, ragazzi, sono passati poco più di trent’anni; l’altro ieri, in termini di Storia, quella con la S maiuscola) Fino ad approdare alla nostra realtà post-moderna in cui sembra non esserci più spazio per la paziente complessità della verità, della bellezza, dell’arte.
Ma è davvero così?
Qualcosa di vero in questa paura c’è: la tecnologia non è più qualcosa che ci aiuta a portare a termine un compito, uno strumento per risolvere problemi. In The Game è un prolungamento di noi stessi, la struttura del nostro stile di vita.
Mettiamo noi stessi in rete per un bisogno intrinseco di elaborare la nostra vita, di renderla all’altezza di quella perfezione che vorremmo abbia sempre, e invece ha solo a sprazzi, rapidi, mortali, che ci sforziamo di rendere eterni, monolitici, con una foto su Instagram, un Tweet.
È urlare: “Ehi, sono qui, ho qualcosa da dire, qualcosa di importante.” Ma in un mondo in cui questa possibilità è offerta a tutti, quanto può essere udita una voce nella folla?
Abbiamo paura di perdere la nostra umanità, la profondità delle cose, una certa vibrazione che aveva lo spessore rassicurante della concretezza; uno spessore che l’analogico aveva e che il digitale sembra aver perso in nome della semplicità e della velocità.
Dov’è quella concretezza che era alzarsi dal divano per passare al lato B di una cassetta, entrare in una cabina telefonica, giocare al calcio balilla, guardare in controluce la pellicola di una macchina fotografica? C’è oggi quella vibrazione che è l’anima del mondo?
La rivoluzione digitale, come tutte le rivoluzioni, ha le sue vittime e i suoi eroi e nasce da un sogno, una visione che ha le sue origini da nerd californiani affamati e un po’ pazzi. I rivoluzionari della mutazione digitale volevano scrollarsi di dosso il passato, creare qualcosa che impedisse agli orrori delle guerre mondiali di ripetersi; l’obiettivo era liberarsi di tutte le elite che avevano governato quel mastodontico e devastante transatlantico alla deriva che era stata il 900, emblema di pesantezza, macchinosità, lentezza.
Volevano leggerezza, dinamicità e le hanno ottenute nell’unico modo possibile: creando nuovi strumenti per cambiare la mentalità di un intero mondo, plasmare una nuova civiltà. Hanno creato un mondo complesso, un universo intero, fatto di costellazione e nebulose. Come tracciare un percorso? Baricco disegna una spina dorsale, fa emergere delle isole in questo oceano di storia: Space invaders, Commodore 64, il primo computer da scrivania, Mosaic, il primo browser, il Blackberry, Amazon, la Playstation, Google, Facebook, Wikipedia… frammenti di mondo che sono la nostra realtà, di cui solo cinquant’anni fa non esisteva nemmeno l’idea. Ci sarebbe da chiedersi: ma come facevano i nostri nonni?
Con più pazienza, con più fatica sicuramente, e forse con più poesia. Ma è davvero stata dimenticata oggi, nel nostro mondo iperveloce, la bellezza della complessità?
Torniamo a Space invaders, perché alla fine tutto nasce da lì, da una nuova idea di uomo, da una nuova, inedita postura: uomo-tastiera-schermo. Eccola qui la rivoluzione. Noi siamo quell’uomo che nasce in piedi, davanti a un grosso e ingombrante cassone in una sala giochi e arriva oggi a tenere in mano uno smartphone in cui ha riversato tutta la propria vita.
Uomo-tastiera-schermo, il logo della nostra civiltà; é qui l’umanità inedita della rivoluzione digitale.
Da Space Invaders all’IPhone; è tutto un gioco, questo hanno voluto creare i padri della rivoluzione digitale. Steve Jobs nel 2007 sul palco dove presenta il primo Iphone è un prestigiatore davanti a un bambini entusiasti che scoppiano in un applauso eccitato non appena quel mago passa un dito sullo schermo e fa scorrere la lista contatti, un gesto che facciamo ogni giorno e che undici anni fa sembrava farci entrare nella fantascienza, un gesto tanto elementare che persino i nostri genitori l’hanno imparato.
Quanto è cambiato il mondo e come è cambiato, quanto ancora cambierà?
Il mondo senza confini e senza barriere della rete è anche pieno di storture e contraddizioni, un universo in cui convivono video di gattini e propaganda terroristica, foto del cane del tuo vicino di casa e utopici progetti di politica diretta che, contro ogni augurio e previsione, sono arrivati in quelle roccaforti del potere che hanno cercato di distruggere.
Che cosa ha portato oggi quella rivoluzione digitale che voleva spazzare via i vecchi sistemi del ‘900? Un mondo sulla cui superficie governa la semplicità e l’immediatezza, come un dito che scorre su uno schermo, ma che scavando nel profondo nasconde un’inattesa complessità.
E sì, la poesia è rimasta.
Baricco cerca di estrarre da questo insondato terreno dei fossili che possano aiutarci a capire noi stessi e il nostro presente, per risvegliare la nostra consapevolezza.
E allora decidetevi finalmente ad alzare la testa dal vostro smartphone e venite al Franco Parenti. Vi concedo solo un’occhiata al navigatore per trovare la strada.
Per maggiori informazioni cliccate qui.
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