di Lucia Belardinelli
Vittorio Sgarbi si fa aspettare. Si sa, l’attesa accresce il pathos. Con quindici minuti di ritardo Vittorio scende le scricchiolanti scale che portano in foyer e mette in atto il suo ingresso trionfale. Un pizzico trafelato e con la giacca strappata sul gomito sinistro, inizia la sua lectio: il critico avrebbe dovuto condurci in un viaggio alla scoperta dell’arte e degli artisti che hanno esplorato l’autunno, avrebbe dovuto parlarci di capolavori di Michelangelo, Bellini, Parmigianino, Tiziano ecc. ecc…
Niente di tutto questo: o meglio, di arte si è trattato, ma non di pittori. Focus dell’incontro è stata la letteratura. Nonostante il cambio di programma, la lezione, inserita nella rassegna Autunno ai Bagni Misteriosi, è stata accolta con grande entusiasmo. Vittorio ammette: «Non so quello che dirò». Si muove a braccio, per analogie, racconta, si racconta, critica… Parte accennando ironicamente a dei tramonti inaspettati: la sangria, il frappè, il succo di tamarindo e il foulard da uomo. Una decadenza senza fine.
Passiamo poi a discorsi più gravi. Ci sono vite lunghe per necessità, in cui l’arte è inesauribile. Ci sono vite brevi, ma che dicono tutto: pensiamo a Leopardi, a cui trentanove anni sono bastati per racchiudere la grande metafisica. Anche a Domenico Gnoli sono risultati sufficienti trentasette anni per raggiungere le massime valutazioni in Italia. Gnoli, uno dei pochi pittori che Vittorio cita, ha coniugato la grande tradizione italiana con la pop art. Questi sono percorsi radicalmente conchiusi, tanto che non potremmo immaginare nulla dopo. Ci sono anche vite lunghe in cui nella maturità non si fa che ritoccare capolavori realizzati anni prima: esempio emblematico, Manzoni e i suoi Promessi sposi.
Dopo una decisa polemica contro Gianfranco Contini, il quale, credendo fermamente nel valore del progresso, non si accorse di capolavori del calibro de Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa e de I Vicerè di De Roberto… Dopo una forte condanna nei riguardi di Giulio Carlo Argan, da Sgarbi ritenuto l’uomo più cieco del mondo… Passiamo al cuore della lectio. Giuseppe Sgarbi, padre di Vittorio, è protagonista nella parte più bella dell’incontro.
Faceva il farmacista Giuseppe, viveva in campagna ed era arretrato, antiquato, rigoroso nel sedersi a tavola a determinati orari. Tutto il contrario della madre di Vittorio, descritta come una donna meravigliosa, esuberante, fantasiosa e creativa. Ma fu Giuseppe che, a 93 anni, fresco come una rosa, cominciò a scrivere libri: quattro anni dedicati alla scrittura, con la produzione di una tetralogia. Un autore esordiente a 93 anni, una lucidità senile che svela un talento nella piena maturità, a cui il tempo ha regalato la capacità di vedere meglio le cose lontane. Un talento, in questo caso, che non ha avuto primavera ed estate, ma che è sorto in autunno, verso il tramonto.
Vittorio durante la lectio ha letto dei passi tratti dai libri del padre, mostrandoci un lato di sé inedito, commuovendosi dando voce ad alcuni dei momenti in cui il padre, con una purezza di sentimento matura e fresca, parla della moglie, morta qualche anno prima. Un’estetica memorialistica pervade i suoi scritti, il tema del tempo affiora e accompagna quello dell’amore e della morte. Potrei riportarvi qui alcuni passaggi, ma non lo farò. Vi invito piuttosto a leggerli per intero questi libri; per quel che ho avuto modo di sentire oggi, posso assicurarvi che meritano.
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