Nel sottosuolo di Arkadij Svidrigajlov: intervista a Mino Manni.

di Monica Lucioni

Dal 27 Febbraio al 4 Marzo al Teatro Franco Parenti continua il Percorso Dostoevskij con “Il topo del sottosuolo”, con cui Mino Manni e Alberto Oliva indagano e ci raccontano la figura di Arkadij Ivanovič Svidrigajlov di Delitto e Castigo. Noi di Sik-Sik abbiamo allora colto l’occasione per intervistare Mino Manni e indagare a nostra volta questo personaggio forse meno conosciuto e spesso, a torto, considerato “secondario”.

Prima di tutto, partiamo dal titolo dello spettacolo: perché “Il topo del sottosuolo”?

“Il topo del sottosuolo” è un titolo che si lega in parte a Memorie dal sottosuolo, uno dei più grandi romanzi di Dostoevskij, che indaga in modo molto profondo l’abisso dell’animo umano, e in parte a una scena bellissima, fortissima, in cui, in un momento di allucinazione, Arkadij Ivanovič Svidrigajlov si immagina di essere divorato dai topi, animali che rappresentano un po’ il mondo squallido delle locande, delle taverne, delle osterie, dei luoghi che lui bazzica.

Svidrigajlov, che è uno dei personaggi considerati “secondari” in Delitto e Castigo, ma che è per noi assolutamente primario, arriva solo nella seconda parte, ma quando arriva lui è come se arrivasse il diavolo, l’anima oscura del protagonista. È un giocatore d’azzardo, è un depravato, viene arrestato spesso, viene picchiato, picchia, uccide. È un uomo che vive “alla giornata”, ma a cui è andata sempre bene. È un dandy maledetto, che improvvisamente si innamora della sorella di Raskol’nikov; è legato a Delitto e Castigo per questo motivo.

Come appunto hai appena accennato, con “Il topo del sottosuolo” portate in scena un personaggio “secondario” di Delitto e Castigo: com’è nata l’idea di questo spettacolo e come mai proprio Svidrigajlov?

Il desiderio nasce da me, da me come membro dell’associazione culturale “I Demoni”. Alberto, l’altro socio, ed io amiamo ovviamente entrambi Dostoevskij e il desiderio nasce dal fatto che questo personaggio non è mai stato abbastanza approfondito, nel tempo, in teatro e in generale. Secondo me è compito del teatro, ed è quello che cerchiamo di fare con la nostra associazione, mettere il fuoco su cose e personaggi che non sono stati ancora abbastanza analizzati.

Svidrigajlov poi si avvicina anche molto alla mia indole, un’indole contraddittoria e soprattutto caratterizzata dal fatto che non mi piace essere giudicato, come persona, ma anche come attore. E Svidrigajlov viene giudicato sempre, come un malvivente, un truffatore, un delinquente, un depravato, e poi invece ha un’anima nobilissima, che rivelerà appunto con Dunja. Lui stesso chiede a Raskol’nikov: “Sono un mostro o sono una vittima? Anch’io sono capace di innamorarmi come qualsiasi essere umano e se la vostra sorellina avesse ceduto, io avrei voluto costruire una famiglia con lei e le avrei giurato eterna felicità e eterno amore”.

Nella nostra scorsa intervista su La Confessione, abbiamo parlato con lei e con Alberto Oliva degli della coscienza e del male di cui l’uomo è capace. Che cosa c’è nell’abisso di Svidrigajlov?

Innanzitutto indagarlo ogni volta in scena è un modo per cercare di scoprire sempre qualcosa in più. Ogni sera è un viaggio nell’anima di Svidrigajlov, che tra l’altro farò due volte, perché io con Il topo del sottosuolo e Delitto e Castigo racconto tutto l’arco di questo personaggio e lo spettatore può, se vuole, vedere i due spettacoli in fila.

Cos’è l’abisso per Svidrigajlov? È la consapevolezza del fatto che senza dei valori, senza dei principi e senza amore, la vita diventa inutile e noiosa. E infatti Svidrigajlov è oberato dalla noia: è un uomo cupo, annoiato, forse perché ha fatto tutto, ha già provato tutto. Anche il suo legame con Marfa Petrovna, questa moglie che lo compra, lo sposa, lo porta in campagna e lo mantiene, è basato sulla noia: “Lei mi ha salvato e io non è che le ho detto di no, altrimenti sarei stato nei guai, semplicemente le ho detto di sì, mi ha trattato come voleva, abbiamo fatto un patto, che non avrei avuto amanti fisse, che sarei sempre stato con lei, e lei era innamorata di me ma io no, ma che ci devo fare?”. Lui lo dice, non è innamorato di lei, è innamorato di Dunja, dal momento in cui la vede: verso di lei ha un rispetto da cavaliere antico, che è incredibile, non te lo aspetteresti mai da un uomo così “marcio”. E invece è così, anche così può succedere.

Nessuno è mai quel che sembra e nessuno è mai quel che appare: questa è la grandezza dei personaggi di Dostoevskij. Svidrigajlov è uno dei più rappresentativi in questo senso e, ogni volta che lo racconto, mi fa sempre più compassione e lo comprendo sempre di più.

Sonja e Dunja: in che misura queste due figure femminili contribuiscono ai due diversi destini di Raskol’nikov e Svidrigajlov?

Certamente sono due figure femminili fondamentali. Ripeto: Dostoevskij non lascia nulla al caso e infatti non è un caso che siano proprio due figure femminili a “redimere” due personaggi maschili. Sonja è santa nel suo peccato, peccando si eleva e questo è un concetto direi quasi pasoliniano, meraviglioso. Nei vinti, in chi soffre, c’è la vera santità. Sonja illumina Raskol’nikov meravigliosamente con uno sguardo e lo comprende, lo abbraccia. Lui dice “sono un assassino” e pensa, quasi spera, che da lei verrà un rifiuto, e invece lei lo abbraccia, gli dice “io ti comprendo”. È uno dei punti più alti del romanzo, io mi sono commosso quando l’ho letto per la prima volta. Lei gli dice: “non ti devi preoccupare, la divina provvidenza ci aiuterà, ti aiuterà. Quanto hai sofferto, quanto hai sofferto e quanto soffri e quanto soffro anch’io”. Lì allora nasce un legame, una corrispondenza.

Dunja poi ha una dignità pazzesca, è attratta da Svidrigajlov, ma ha una grande capacità di controllo nel cercare di non darsi a lui, rispettando il fatto che lui è sposato. Svidrigajlov a un certo punto dice: “Io avrei fatto tutto per lei, le proposi addirittura di partire per Pietroburgo con me, le avrei giurato amore eterno e eterna felicità, ma lei cominciò a tormentarsi, a farsi degli assurdi sensi di colpa e non voleva essere la causa della discordia della mia famiglia”.

Quindi comunque due figure straordinarie, come solo due donne possono essere. Dostoevskij dà molta importanza alle figure femminili: per quanto lui racconti esistenze molto depravate e squallide, per le donne ha sempre un atteggiamento di comprensione e anche di grande rispetto, di grande amore. Le donne – e penso a Nastasya Filippovna ne L’Idiota, penso a Liza ne I Demoni, penso alla povera Marija Lebjadkina – portano la verità. In Dostoevskij le donne che soffrono portano la verità, portano la luce.

Pensando appunto ai due diversi destini di Raskol’nikov e Svidrigajlov, sorge la domanda: per Dostoevskij, l’uomo può vincere il proprio abisso?

Niente è definitivo in Dostoevskij, come nella vita, ed è questa la sua grandezza. È chiaro però che, mentre Sonja abbraccia Raskol’nikov, Dunja non uccide Svidrigajlov. E il fatto che lei non voglia ucciderlo, per Svidrigajlov è una dichiarazione di indifferenza. Nel momento in cui si rende conto che Dunja non può amarlo, l’unica speranza è farsi uccidere da lei. Lei non lo fa e questo rifiuto è la cosa che lo uccide veramente e allora poi si uccide lui.

Raskol’nikov e Sonja invece riescono a sopravvivere perché il loro amore si eleva e va oltre loro due. Dostoevskij ci dice che l’amore che si ha bisogna aprirlo agli altri e solo allora si riesce a vivere bene.

Chiudiamo allora su un confronto tra Raskol’nikov e Svidrigajlov: in cosa questi due personaggi sono simili e in cosa diversi, in particolare nel loro rapporto con il “delitto”?

Diciamo che Raskol’nikov rispetto al delitto ha una posizione molto diversa da Svidrigajlov: Raskol’nikov studia legge e fa una serie di riflessioni su cosa è giusto e su cosa è sbagliato e arriva poi alla teoria degli uomini superiori e degli uomini inferiori, secondo cui se uomini come Newton, Keplero o Napoleone si fossero fatti degli scrupoli non sarebbero diventati quello che son diventati. Lui allora vorrebbe essere un “uomo superiore” e compie il suo delitto per mettersi alla prova, perché per un uomo superiore è inevitabile compiere degli orrori. Poi però comincia a stare male, soffre e si arrabbia perché non vorrebbe soffrire, perché – lui dice – l’uomo superiore non soffre per il suo delitto.

Con il tema del delitto poi in Dostoevskij ritornano molto i morti ed è questo che lega Raskol’nikov e Svidrigajlov. C’è un momento in cui Sonja, parlando con Raskol’nikov, parla di Lizaveta [Lizaveta Ivanovna, una delle due donne che Raskol’nikov ha ucciso ndr] come se fosse lì, come se fosse viva e lui allora la rivede e ha come un rimorso, un sentimento di pentimento. Ma anche Svidrigajlov parla di morti: parla della moglie, che ha ucciso e che gli riappare, in sogno e non solo; lui la vede e le dice le cose che le diceva quando era viva.

Quindi questi morti che vivono coi vivi, più dei vivi, li portano a una consapevolezza, a una presa di coscienza delle loro colpe; è questo che lega Raskol’nikov a Svidrigajlov nel momento in cui si incontrano, quando Svidrigajlov chiede a Raskol’nikov: “Voi credete ai fantasmi?” “Sì, no, non lo so, forse” “Voi siete malato?” “No, voi siete malato?” e si guardano come se fossero allo specchio. Solo che a un certo punto Svidrigajlov prende la via del male e prendendo la via del male si porta dietro anche il male di Raskol’nikov e si sacrifica per lui. Si uccide per lui. Raskol’nikov non si uccide perché è Svidrigajlov a uccidersi per lui. In qualche modo, simbolicamente, questo è quel che accade.

da Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij
con Mino Manni
regia Alberto Oliva

produzione Teatro Franco Parenti

Per maggiori informazioni, prezzi e biglietti: https://www.teatrofrancoparenti.it/spettacolo/topo-del-sottosuolo/

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