Intervista a Mino Manni e Alberto Oliva: Dostoevskij e il viaggio dentro l’umanità del male.

La Confessione, Delitto e Castigo, Il topo del Sottosuolo: Mino Manni e Alberto Oliva ci accompagnano, con il Percorso Dostoevskij, in un viaggio negli abissi dell’animo umano, dal 7 Febbraio al 4 Marzo al Teatro Franco Parenti. Quest’anno la novità è La Confessione, adattamento teatrale del capitolo censurato de I Demoni, in scena dal 7 al 18 Febbraio. Noi di Sik-Sik abbiamo colto l’occasione per fare qualche domanda ad attore e regista in un’intervista doppia.

La Confessione è un dialogo intimo tra il protagonista Nikolaj e il pubblico, un dialogo che analizza e guarda al “male dentro”. Se parliamo del male che l’uomo può compiere, è inevitabile pensare ad Hannah Arendt, che l’ha definito banale, a un passo dal nostro agire, o a Zigmund Bauman, che lo crede “possibilità dormiente” in ciascuno di noi. Abbiamo voluto allora chiedere a Mino Manni e Alberto Oliva di parlarci del male, estremamente umano, che si incontra nei personaggi di Dostoevskij, oltre che di cosa significa adattare la sua opera per il teatro. In questo senso vi segnaliamo anche l’uscita del libro Prospettiva Dostoevskij,  per Feltrinelli Editore, che contiene i testi originali degli adattamenti di opere di Dostoevskij realizzati dalla  compagnia I Demoni. Un libro per chi vuole fare il primo passo alla scoperta di quest’autore o per chi desidera rincontrarlo, come un vecchio amico che non si è mai dimenticato.

Dostoevskij è un maestro nell’indagare il male e le sue radici. Nelle tre tappe di questo percorso incontreremo Nikolaj Stavrogin da I Demoni, Raskolnikov e Svidrigajlov da Delitto e Castigo. In quali abissi ci porteranno questi personaggi?

Mino Manni: Negli abissi in cui tutti possiamo ritrovarci da un momento all’altro. Questi personaggi ci fanno rendere conto che questi abissi appartengono a tutti noi; Dostoevskij dice che l’uomo è un mistero e lo indaga meravigliosamente, ancora prima di Freud. Nel periodo in cui Dostoevskij scrive i romanzi più belli, Freud doveva ancora venire, ma lui parla già di incubi, di spettri, dell’inconscio e di tutto ciò che si nasconde nell’animo dell’uomo. La cosa straordinaria è che Dostoevskij ne parla in modo poetico, con un linguaggio altissimo.

Anche le cose più tremende e orribili, lui le racconta in modo alto. Questa è la cosa che più ci ha colpito: raccontare il basso, cioè l’abisso, con un linguaggio alto, altissimo.

Alberto Oliva: Ci porteranno nell’abisso della coscienza umana che è fatta di tantissime contraddizioni. Il male ne è una componente, ma il grande insegnamento che Dostoevskij ci dà è che il confine tra bene e male nell’animo umano è davvero labile. La grandissima qualità di Dostoevskij e di tutti i suoi personaggi è che diventa impossibile giudicarli secondo le tradizionali distinzioni tra bene e male. Bisogna riuscire a comprendere le anime umane e smetterla di giudicare, perché questo crea incomunicabilità e conflitto.

Soltanto se si comprende che la possibilità del male è dentro di noi la si può sconfiggere. Se io penso che chi compie il male è altro da me, io allora mi considero immune. Ma non è così, è proprio questo il rischio. In tutti c’è la possibilità del male. Questo è importante soprattutto in un’epoca come la nostra dove è facile il giudizio sommario, soprattutto con i social network: tutti sono subito pronti a dare la propria opinione, ma in modo superficiale. Dostoevskij invece insegna la profondità. Proprio per questo parliamo di andare alle “radici” del male, approfondire e anche toccare il fondo.

Che tipo di preparazione ci è voluta per entrare nella mente di un personaggio come Nikolaj? Da un punto di vista attoriale, quanto costa uno scavo psicologico del genere e come ci si sente a stare da soli sul palco dentro Nikolaj?

Mino Manni: Interpretare i personaggi di Dostoevskij è quanto di più bello e interessante ci possa essere, perché sono pieni di sfaccettature e di contraddizioni. Ci si può giocare molto a livello interpretativo. Nikolaj Stavrogin è un personaggio ancora oggi per me misterioso: mi affascina ogni volta, anche se lo interpreto ormai da molti anni, ed è proprio quest’anima sfuggente che mi affascina, razionalmente non lo so spiegare. Lo percepisco quando lo interpreto, quando sono in scena. Non ho avuto particolare difficoltà a entrare dentro a questo personaggio. La difficoltà forse è rendere, in un’ora, tutto ciò che lo caratterizza. La cosa bella che noi sentiamo ogni sera da parte del pubblico è che, alla fine del monologo, c’è una sorta di compassione e di comprensione verso questo “mostro”, mostro in realtà solo apparente.

Stavrogin [Nikolaj, ndr] soffre perché non soffre, e questo è geniale. Non si pente di quello che commette. Dostoevskij è di un’attualità sconvolgente. Questa incapacità di provare emozioni è tremenda. Un uomo che fa queste cose è un mostro o è sempre un uomo? È un mostro o una vittima? I grandi autori non danno mai una risposta, ma indagano, raccontano. Siamo tutti umani, dobbiamo prima guardare dentro noi stessi.

Come si può indagare il male?

Mino Manni: Con Alberto lo indaghiamo attraverso il teatro, attraverso l’arte: è l’unica forma di linguaggio che può permetterci di fare chiarezza su questo aspetto che non riusciremo mai a chiarire fino in fondo. Metterlo in scena permette di creare una solidarietà con gli altri esseri umani. Bisogna parlare del male, non cercare di nasconderlo. Parlare del male può permettere di superarlo e Dostoevskij ne parla divinamente attraverso questi personaggi.

Da sempre a teatro si indaga il male, basta pensare al teatro greco, a Medea, a Edipo. Quando  è portato in scena, avviene una sorta di catarsi e gli esseri umani possono sentirsi meno soli. La possibilità del male è in ognuno di noi: l’uomo è capace di cose altissime e di cose bassissime. Questa è l’essenza della libertà umana.

Alberto Oliva: Non indugerei troppo solo sul male. La bellezza e l’arte sono il modo migliore per indagare l’animo umano in tutta la sua complessità. Una delle frasi più celebri di Dostoevskij è proprio: “La bellezza ci salverà”, ed è vero.

C’è tanta bellezza in questi personaggi che compiono degli atti disperati: la bellezza di qualunque anima umana che ha il coraggio di mettersi a nudo, di confessarsi. La Confessione parla di un uomo che verrebbe normalmente definito un “mostro” ma tu alla fine ti spaventi di come lo stai comprendendo. Il male lo sconfiggi solo se capisci che è parte di te.

Trasporre Dostojeski: una sfida difficile. Com’è confrontarsi con questo gigante?

Mino Manni: Amo Dostoevskij. Per me è un piacere e un onore dire le sue parole ogni sera. Avevo voglia di fare il punto e indagare questo grandissimo autore. Attraverso l’incontro con Alberto Oliva che ha la stessa mia passione e ha letto tutto Dostoevskij, ho potuto realizzare questo desiderio. Ci siamo trovati. Dostoevskij analizza l’oscurità dell’animo umano e le sue brutture, ma lascia sempre una speranza, una luce. La speranza di trovare qualcuno che ci possa capire.

Raskolnikov, ad esempio, incontra Sonja. Un essere perduto come Sonja, che è una prostituta, lo riesce a comprendere. Quando lui confessa il delitto lei lo abbraccia. Lui vorrebbe che lei lo rifiutasse, e invece lo accoglie. Sonja gli dice: “Io ti capisco”. È il primo passo che lo porterà a costituirsi, a essere libero.

Un altro personaggio meraviglioso è Svidrigajlov, ha un ruolo secondario in Delitto e Castigo, ma ha la statura di personaggio principale: un depravato, un giocatore d’azzardo. Poi si innamora della sorella di Raskolnikov e lo fa in modo angelico, in modo puro, sano. E questo dopo aver ucciso la moglie. Come fa in un assassino a esserci un desiderio di amore e di rispetto totale? È questa la grandezza di Dostoevskij. E anche qui, dopo il monologo, il pubblico prova compassione.

Dostoevskij è grande nello scavo psicologico dell’anima dei suoi personaggi, nella sua lucidità immensa nell’indagare i rapporti umani. Quindi spesso basta un capitolo, come ne La Confessione, per raccontare l’essenza del romanzo.

Sento di poter lanciare un messaggio che può essere utile al pubblico, che può portarlo a scoprire, o riscoprire, Dostoevskij: un genio che ti racconta tematiche profondissime con una leggerezza incredibile.

Alberto Oliva: Dostoevskij è una scoperta continua. Questa è una caratteristica tipica dei grandi classici e dei capolavori della letteratura: che non finiscono mai di sorprenderci e di dirci cose nuove. Delitto e Castigo l’ho letto almeno otto volte, ma ogni volta ci trovo dentro delle cose diverse perché ci arrivo anche io con uno spirito diverso. C’è un’espressione bellissima che dice: “non siamo noi che leggiamo Dostoevskij ma è lui che legge noi.”

Tu scopri te stesso attraverso la lettura perché capisci che l’autore sta parlando a te. Dostoevskij riesce a dare profondità a tutti i suoi personaggi, non solo ai protagonisti; prendiamo  Sonja: la prima volta che Sonja e Raskolnikov si incontrano Dostoevskij ci dice che lei lo guarda provando un sentimento di “nausea e vergogna.” E questo è comprensibile. Ma poi dice: “E anche un po’ di dolcezza.”,  e qui c’è la grandezza di Dostoevskij. È quella dolcezza che rende tridimensionale Sonja, come il colore che non ti aspetti rende un quadro un capolavoro. In quel po’ di dolcezza c’è la genialità di Dostoevskij.

Dentro la contraddizione dell’animo umano c’è la bellezza: è questo che ci salva. Bisogna “Abbandonarsi alla vita”, come dirà Porfirij a Raskolnikov alla fine di Delitto e Castigo. “E la vita vi porterà a una riva, ma quale riva non è dato saperlo. Voi abbandonatevi alla vita”

C’è un grande pregiudizio su Dostoevskij: si dice che sia un autore pesante, triste. Invece non lo é. Piuttosto, si esce dalla lettura di Dostoevskij con una grande speranza e una grande voglia di vivere.

Adattamento di Alberto Oliva e Mino Manni
da I demoni di Fëdor Dostoevskij
con Mino Manni
regia Alberto Oliva

produzione Teatro Franco Parenti

Per date e orari cliccate qui.

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