Perché dovremmo andare tutti a lezione di norvegese: intervista ad Andrea Meregalli

di Silvia Bellinzona

Al Franco Parenti prosegue il percorso legato alla figura di Henrik Ibsen, oggi con un focus particolare sulla sua lingua madre, il norvegese. Per guidarci tra fiordi e boschi incantati, abbiamo rivolto alcune domande ad Andrea Meregalli, docente specializzato in Lingue e Letterature Nordiche presso l’Università degli Studi di Milano, protagonista, insieme con Kari Skogen, dell’incontro “Impariamo il norvegese con Ibsen” di mercoledì 7 febbraio. 

Come è iniziato il suo percorso di studio e ricerca del norvegese? Perché ha scelto proprio questa lingua?

Ho iniziato a studiare le lingue e letterature scandinave all’università, partendo soprattutto dal mio interesse per la letteratura medievale, con la ricca tradizione delle saghe islandesi, e per la mitologia nordica. La lingua che ho scelto e che abitualmente parlo nei miei contatti con la Scandinavia non è però il norvegese, bensì il danese. Le tre lingue scandinave, infatti, (norvegese, danese, svedese) hanno la caratteristica di essere molto vicine tra loro e, con un po’ di pratica, sono intercomprensibili. Lo studente che si vuole avvicinare a queste tre lingue ha quindi come orizzonte culturale di riferimento l’intera Scandinavia.

Come si classifica il norvegese nel quadro delle lingue europee? Quali sono le sue peculiarità?

Come tutte le lingue scandinave, il norvegese è una lingua germanica del gruppo settentrionale. Questo fa sì che lessicalmente vi siano affinità sia con il tedesco e l’inglese (lingue germaniche, ma del gruppo occidentale) sia, soprattutto, con le altre lingue germaniche settentrionali, danese e svedese, ma anche islandese e feroese, nonostante queste ultime due si siano mantenute più conservative, mentre le altre, incluso il norvegese, abbiano subìto nella loro storia una semplificazione grammaticale. Il norvegese poi spicca per una situazione particolare legata alla storia della Norvegia. Esistono infatti due varietà scritte di lingua norvegese (chiamate bokmål e nynorsk), distinte benché simili, usate dai norvegesi a seconda della zona d’origine o delle preferenze personali. Per la comunicazione orale è ampiamente diffuso l’uso dei dialetti, anche in contesti formali, una pratica che appare oggi insolita se paragonata alla situazione italiana o di molti altri paesi europei.

In che senso la lingua è un importante fattore identitario per la Norvegia?

La storia linguistica della Norvegia è strettamente legata alle vicende politiche del Paese, che dal 1380 al 1814 fu legato alla Danimarca, prima come regno autonomo poi come provincia a tutti gli effetti. In questo lungo lasso di tempo, il danese sostituì gradualmente il norvegese come lingua scritta. Nel 1814 i norvegesi si dichiararono indipendenti, ma le potenze straniere che ridisegnarono la carta d’Europa dopo le guerre napoleoniche assegnarono il Paese alla Svezia, da cui ottenne l’indipendenza solo nel 1905. Nell’Ottocento il movimento romantico nazionalista individuò nella lingua un fattore identitario di primaria importanza, come del resto avvenne anche nel Risorgimento italiano. In questo periodo si discusse su quali soluzioni adottare per sostituire al danese un’autentica “lingua norvegese” e fu così che nacquero le due varietà scritte di norvegese che ancora oggi sopravvivono, seppur fortemente modificate.

Come si colloca la figura di Ibsen in questo contesto identitario? Può indicare ai nostri lettori una frase scritta da Ibsen e poi diventata un modo di dire?

Ibsen era alla fine dell’Ottocento una delle figure più significative della vita culturale norvegese, anch’egli quindi prese parte al dibattito linguistico, schierandosi a favore del bokmål, che segnava una rottura meno netta con la tradizione letteraria danese rispetto alla proposta del nynorsk, ritenuta troppo radicale. La figura di Ibsen ha da allora mantenuto un ruolo fondamentale nel canone letterario norvegese, anche per il successo all’estero, che ne ha fatto il principale portavoce a livello mondiale, anche nella cultura di massa. La modernità dei temi trattati e delle sue posizioni lo rende al contempo adatto a svolgere il ruolo di simbolo della cultura nazionale e di voce tuttora attuale su molti temi. Quasi tutte le sue opere fanno parte del bagaglio culturale di ogni norvegese e alcune sue frasi sono molto famose, come per esempio “L’uomo più forte al mondo è quello che sta da solo” (da Un nemico del popolo) o “Era troppo forte – dietro di lui c’erano delle donne” (da Peer Gynt).

Nella presentazione dell’incontro, sono indicate parole chiave per la lingua norvegese come “autenticità”, “felicità”, “famiglia” e “coppia”: come si configurano questi concetti nella società? Quali sono le differenze con il nostro Paese?

Le parole chiave che abbiamo scelto sono significative sia per l’opera di Ibsen sia per lo sviluppo del modello sociale norvegese dalla fine dell’Ottocento fino a oggi. Ibsen affronta temi che sono centrali per la società moderna. Certo, non è il solo a esprimersi su questioni come i diritti delle donne o il rapporto fra progresso e forze conservatrici, ma il suo valore letterario e la sua fama ne fanno un portavoce riconosciuto di queste istanze. Basti pensare alla sua opera certamente più famosa, Casa di bambola, riproposta negli ultimi anni con grandissimo successo anche al Franco Parenti nella versione di Andrée Ruth Shammah. In questo testo, come in Rosmersholm e in molti altri, troviamo rapporti familiari, in particolare di coppia, che cercano di liberarsi dai vincoli che la società conservatrice imponeva per permettere all’individuo di realizzare se stesso. Tutti questi temi si ritrovano non solo nei drammi “moderni”, ma anche in altre opere, come il Peer Gynt, vero e proprio “epos nazionale” norvegese. La considerazione per l’individuo, la sua libertà di scelta e di realizzazione del proprio potenziale, è stata al centro del modello sociale realizzato in Norvegia, come nel resto della Scandinavia, nel corso del Novecento. Questa “liberazione” non è avvenuta senza difficoltà e contrasti, a volte anche drammatici (basti pensare agli anni del Nazismo o alla strage del 2011 sull’isola di Utøya).

Perché studiare il norvegese?

Negli ultimi anni la popolarità del norvegese, e quindi dei corsi di lingua, è andata aumentando in Italia. Se un tempo c’era un interesse di nicchia, legato a specifici interessi per la cultura, il paesaggio o a legami personali, oggi la Norvegia costituisce per molti giovani anche una meta attrattiva dal punto di vista economico e sociale. Per quanto le difficoltà degli ultimi anni non abbiano risparmiato questo Paese, il tenore di vita, garantito dalle risorse economiche, è in media più alto che in Italia e il modello sociale norvegese è accogliente e aperto all’integrazione. Un anno e mezzo fa ebbe risonanza sui social media un discorso del re che poneva l’accento sulla diversità e la multiculturalità come tratti distintivi e ricchezze fondamentali per la Norvegia di oggi. Sul versante dei riconoscimenti dei diritti e delle libertà individuali, certamente la Norvegia ha raggiunto traguardi che nel nostro Paese appaiono ancora lontani.

“Impariamo il norvegese con Ibsen”, mercoledì 7 febbraio h 18:00, sala Café Rouge.

Incontro con Andrea Meregalli e Kari Skogen, con la partecipazione degli studenti di Lingue Scandinave dell’Università degli Studi di Milano.

Per maggiori informazioni cliccate qui.

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