“Io sono venuto a portare disordine”, dichiara compiaciuto il personaggio sul palco della sala Cafè Rouge del Teatro Franco Parenti. Come un novello supereroe o, se vogliamo, una figura mistica alternativa il Caravaggio di Cesare Capitani arriva sulla scena milanese (dove rimarrà dal 21 al 26 novembre), sprigionando tutta la sua potenza di artista e, allo stesso tempo, tutta la sua umanità in una vitalità e drammaticità sorprendente.
Io Caravaggio compare per la prima volta al Festival di Avignone nel 2010, in occasione del 400° anniversario della morte del Merisi e, da allora, ha calcato le scene di Francia, Svizzera e Italia, arrivando alla sua 480° replica proprio al Franco Parenti. Autore, interprete e regista, Cesare Capitani sceglie di portare sulle scene un personaggio complesso ed enigmatico dalla vita intensa e relativamente breve. L’ispirazione è letteraria: il testo nasce come adattamento di un romanzo di Dominique Fernandez (La Course à l’Abîme,2002, Edizioni Grasset). Il legame tra pagina scritta e palcoscenico si traduce, qui, in un racconto in prima persona che cattura l’attenzione dello spettatore attraverso poche, ma efficaci strategie.
Ad affiancare Capitani in scena troviamo una bravissima Laetitia Favart, che con una tecnica dai tratti post-drammatici, riesce ad interpretare con facilità e sicurezza personaggi diversi di entrambi i sessi. Lo stesso Capitani dimostra tutta la sua abilità di attore nel ritrarre quello che è stato a tutti gli effetti un vero genio nel panorama artistico rinascimentale e non. I dipinti più celebri di Caravaggio prendono vita sulla scena in suggestivi tableaux vivants. Dalla Canestra di Frutta alla Conversione di San Paolo, fino ad arrivare al trittico di San Matteo, lo spettatore viene trasportato con ironia e commozione in un autentico viaggio nella Storia dell’Arte.
La scena è spoglia, fatta eccezione per una lanterna e un cubo che funge da piedistallo. In questo modo Capitani riesce a mettere al centro di tutto la vita dell’artista, avvalendosi soprattutto dell’aiuto della luce. Così come la luce ebbe un ruolo di primo piano nella produzione artistica di Caravaggio, così anche nello spettacolo diviene protagonista in più occasioni. Significativa, a questo proposito, è la scena finale in cui la luce obliqua emanata dalla lanterna ricrea un meraviglioso parallelismo tra la morte dell’artista e quella da lui raffigurata ne Il Martirio di San Matteo.
Interessante anche la scelta di utilizzare il canto della Favart come unica fonte di accompagnamento musicale. Ogni canzone marca un preciso momento della vita del pittore e ne enfatizza la carica emotiva. Si alternano brani della tradizione religiosa come il Dulcis Christie e il Salmo 51 (conosciuto anche come Miserere Mei Deus), a brani della grande tradizione lirica italiana tra cui spicca il Lamento di Arianna di Monteverdi. Il brano di Monteverdi, in particolare, contribuisce creare quella simmetria tra i dipinti e vita dell’artista che raggiunge il culmine nella sopracitata scena finale.
Parafrasando Stan Lee, da grandi nomi derivano grandi responsabilità. Portare in scena un personaggio come Caravaggio comporta una serie di rischi, tra cui il cadere in stereotipi e luoghi comuni sull’artista maledetto. Io, Caravaggio, invece è uno spettacolo ben riuscito in cui a emergere è soprattutto l’umanità e l’estrema modernità del personaggio. Un artista, ma prima di tutto un uomo dominato dalla passione che vive della sua arte – “Io voglio esistere solo grazie ai miei quadri” griderà esasperato. L’adattamento di Capitani, inoltre, si dimostra un ottimo strumento didattico. Intrecciando contemporaneamente arte pittorica, teatro e letteratura consente al pubblico (in particolare al quello più giovane) di avvicinarsi ad un mondo che troppo spesso si percepisce come astratto e lontano. Attraverso la descrizione del processo creativo dell’artista, lo spettatore viene guidato in un tour “dietro le quinte” che gli consente di formulare un proprio e personale ritratto di quell’artista di fama universale che è Caravaggio.
di Cesare Capitani
ispirato al romanzo di Dominique Fernandez La Course à l’abîme – Edizioni Grasset
con Cesare Capitani e Laetitia Favart
produzione Prisma
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