“Buon anno, ragazzi”: a volte basta un abbraccio

di Andrea Piazza

Torna al teatro Franco Parenti, a chiusura di stagione ma che sarà ripreso all’inizio della prossima, lo spettacolo che ha formato la coppia Francesco Brandi per la scrittura e Raphael Tobia Vogel per la regia, già messa alla prova lo scorso anno dal successo di Per strada. In scena fino al 1 giugno la commedia Buon anno, ragazzi, una fiaba tra il cinico e il grottesco, con l’immancabile happy ending. Perché alla fine, è solo di un abbraccio che abbiamo bisogno.

Quattro vite, soffocanti e soffocate, come quella moquette assurdamente kitsch e polverosa che domina la scena su pavimento e pareti. Siamo nel salotto di Giacomo, scrittore senza futuro, insegnante precario, padre solo e abbandonato. Ma in realtà ci troviamo in una prigione, dove muri e sbarre sono i non-detti, le scuse mai pronunciate, gli abbracci mancati, le piccole falsità che ognuno di noi costruisce intorno a sé nell’illusione di difendersi dagli altri. Una prigione invisibile ma così vera da essere l’unica autentica segregazione, con il sequestro dei personaggi divenuti ostaggi.

All’inizio, la storia è quella del tipico trentenne italiano fallito, mammone un po’ sua sponte e un po’ costretto, a cui ci hanno abituato anni di sit-com e commedie. Eppure la penna di Francesco Brandi la rende nuova, fresca, vitale. Con una svolta decisamente inaspettata, in quell’appartamento dove tutti sembrano essere di casa tranne il proprietario, incapace di tenere stretta la benché minima cosa o persona nella sua vita, irrompe Silvia, l’ex compagna che apparentemente ha lasciato Giacomo. È tornata a casa dopo sessantun giorni di assenza. Un blackout con l’esercito che circonda il palazzo ed ecco che la commedia famigliare diventa un grottesco thriller dell’assurdo, senza mai abbandonare, tra qualche punta di meno efficace gratuito moralismo, quel registro comico così riuscito.

È sicuramente il testo di Francesco Brandi, agile, cinico, esagerato a tratti, a dominare il palcoscenico, su tutti gli altri elementi. Il giovane autore costruisce una comicità erede delle gag di Zelig, basata sulla risposta e controrisposta, su quel ribattere al millimetro con un sarcasmo tagliente cui siamo abituati da anni di televisione. E in teatro il meccanismo funziona con la stessa efficacia: si ride, con Buon anno, ragazzi, e si ride di noi, della nostra mediocrità portata in scena. Dal precariato totale, nel lavoro, nella vita e nell’amore, di Giacomo, alla scandalosa e disastrata vita del Giudice, passando per la mamma tipicamente italiana tutta dedicata al suo bimbo di trent’anni, per i fallimenti di Silvia e di Boby.

La regia di Raphael Tobia Vogel recupera questa dimensione umoristica del testo che trasforma in grottesco, dal respiro al gesto degli attori, passando per la scenografia e le luci, tutto sospeso in un finto naturalismo (nella simulazione dell’appartamento, nella luce che filtra dalla persiana) straniato ai limiti del kitsch (e basterà vedere la combinazione allucinata di luci e atmosfere del finale). Una soffocante moquette a pelo lungo copre tutto: grigia come la vita dei personaggi, polverosa e asfissiante come quella famiglia dove nessuno pare sia mai riuscito a dire la verità.

In questa cornice, tra il reale e l’immaginario, si consuma l’amara commedia dei quattro personaggi che solo affacciandosi al baratro della morte riescono a risolversi ad abbattere quei muri invisibili che li tengono prigionieri. In un cast affiatato, capace, spicca Camilla Semino Favro (Silvia), la psicopatica – o forse solo disperata – madre un po’ attrice e un po’ criminale; la sua recitazione passa facilmente da un registro all’altro, senza fatica, dominando la non facile pazzia del personaggio. Accanto a lei lo stesso Francesco Brandi (Giacomo), Miro Landoni (il Giudice) e Daniela Piperno (la Mamma). Un posto speciale nel cuore dello spettatore se lo ritaglia Sebastiano Bottari (Boby), l’amico cannaiolo, tramviere new age alla ricerca di una famiglia. Sarà lui, vero trickster della vicenda, a innescare quel cortocircuito che porta alla risoluzione dello spettacolo e dei drammi che ognuno, su quel palco, si porta dentro.

E così Buon anno, ragazzi, iniziato come una sitcom famigliare da preserata, diventato un thriller con sequestri di persona, ostaggi e poliziotti, si conclude con l’immancabile happy ending. Un po’ scontato? Forse, ma le fiabe devono terminare bene. E alla fine, basta un abbraccio. Costa poco e abbatte tante inutili prigioni.

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