di Roberta Maroncelli
Signore e signori, vi presento Louise Bourgeois (1911-2010), al Teatro Franco Parenti da martedì 8 a domenica 20 novembre.
Piccolina, occhi azzurri, orecchini a cerchio e basco in testa. Apparentemente innocua ma estremamente feroce, in lei si racchiude un mondo di idee e contrasti che sorprende, come il fallo che si porta fieramente in giro a mo’ di baguette sotto braccio, sgradevole all’apparenza ma simbolo caro dell’affetto verso figli e marito, o come la scultura del ragno gigantesco che inquieta ma protegge maternamente con le sue lunghissime zampe.
Louise e le sue opere sono un ossimoro, né bianche né nere, «perché le cose sono molto più interessanti se grigie»; amante della geometria, «la sola cosa che mi dava sicurezza», studia matematica alla Sorbona, frequenta diversi ateliers a Parigi e dopo il matrimonio con lo storico dell’arte Robert Goldwater si trasferisce a New York, dove si dedica al lavoro di scultrice.
La Bourgeois sentirà sempre la mancanza del suo Paese, nonostante i grandi traumi vissuti in Francia. Primo fra tutti il padre, che la desiderava maschio e che a cena la derideva davanti ad amici e familiari con l’atroce gioco del mandarino: quando all’intaglio di una figura femminile in un mandarino rimaneva il picciolo, “scherzosamente” il fallo, il padre identificava la figurina con lei, «ça c’est toi, Louise!», mortificando la bambina e facendola sentire sbagliata. Gli psicologi avrebbero di che discutere. Semplicemente, l’arte ha dato forma alle sue angosce, liberandola. Che dire poi della maîtresse che circolava per casa come sua maestra di inglese?
Questo pover uomo era alquanto sprovvisto di sensibilità e definirlo grezzo è un gran bel complimento. La vendetta di Louise arriva con la celebre Distruzione del padre (1974), opera in cui i figli squarciano e divorano il padre a tavola. Tosta.
Guardando le sue sculture così visivamente violente, ci si aspetterebbe una persona sicura di sé. Invece no, perché Louise spiega il suo lavoro quasi vergognandosi: racconta i suoi incubi con lo sguardo basso, la voce ferma e sicura, sì, ma le spalle chiuse.
Che dire, questa storia mi ha impressionata. Perché questa è la storia di una donna che ha trovato nella scultura il modo tangibile di esorcizzare la propria sofferenza. Ho scoperto una persona estremamente fragile, che a sua volta si è scoperta fragile: «quando si accetta di essere un giunco invece che una quercia, non ci si rompe più».
Una storia, quella dell’artista, che Luca de Bei, autore e regista, ci racconta con Margherita di Rauso, interprete, in Louise Bourgeois. Un allestimento dai toni scuri. Come Louise: misterioso ma evidente.
LOUISE BOURGEOIS
testo e regia Luca De Bei
con Margherita Di Rauso
costumi Lucia Mariani
luci Marco Laudando
assistenti alla regia Fabio Maffei, Lucrezia Lanza
produzione ErreTiTeatro30 in collaborazione con Ma.Di.Ra. srl
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