di Andrea Piazza
Cosa succede se inviti un amico a vedere uno spettacolo in dialetto su Pasolini? Dal 19 al 23 aprile al Parenti con “Non c’è acqua più fresca” il pluripremiato attore tenta la sfida coraggiosa di dare corpo e voce a un mondo poetico di feste, sagre, temporali e primule. Un viaggio di ritorno alla terra contadina dell’infanzia.
Domenica pomeriggio, in giro per internet capito sul sito del Franco Parenti. Noto uno spettacolo interessante, prendo il cellulare e chiamo subito Marco:
– Hai da fare martedì prossimo?
– No, perché?
– Danno al Franco Parenti uno spettacolo con Giuseppe Battiston, “Non c’è acqua più fresca”, regia di Alfonso Santagata, andiamo a vederlo?
Sento che il nome del pluripremiato interprete fa effetto: teatro, cinema, telefilm, chi non conosce Battiston? Però Marco esita. Nelle ultime settimane l’ho trascinato a vedere spettacoli un po’ troppo “particolari”, per usare un eufemismo, e ora non si fida.
– Non è la tua solita fregatura, vero? Qual è il tema?
Ora devo dirglielo, con più tatto possibile, senza che mi mandi al diavolo.
– Pasolini – sussurro – sono una serie di poesie di Pasolini.
Dall’altro capo del telefono il silenzio. Marco odia Pasolini e io, colpevolmente, lo so: lo trova incomprensibile, a tratti spocchioso, saccente, decisamente sopravvalutato. Ma “Non c’è acqua più fresca” non sembra il solito recital di poesie, piuttosto un mondo dove si mescolano le voci più differenti della giovinezza di Pasolini, versi spontanei, suggestioni, immagini e volti che tornano a vivere sul palcoscenico. Decido di forzare il silenzio del mio amico: confesso che lo spettacolo è in dialetto friulano, sono le poesie giovanili del Pasolini che in quella regione è vissuto fino al 1950.
– No, tu sei pazzo – mi risponde.
– È una scelta coraggiosa portare in scena Pasolini in questo modo, almeno questo lo devi riconoscere. Potrebbe essere molto interessante – ribatto.
– Sì, ma in friulano?!
– La poesia non ha bisogno di essere sempre comprensibile – lo incalzo – il dialetto è musicale, evocativo, ricrea subito un mondo di sagre, giochi e lavoro dei campi.
Marco non è ancora convinto. Cerco di spiegargli che portare in scena il Pasolini friulano è anche una specie di viaggio di ritorno: per noi, che da quel mondo contadino profumato di pioggia e primule ci siamo ormai tanto allontanati, e per Battiston, che in Friuli ci è nato e cresciuto da bambino. Cerco di fargli capire, tra una sua protesta e l’altra, che mi incuriosisce vedere come la poesia acerba del giovane Pasolini, nata per essere messa su carta, prenda forma su un palcoscenico, in un corpo, in una voce.
Niente, non vuole. Mi gioco l’ultima carta:
– Andiamo a vederlo. Se non ti piacerà, vorrà dire che ti offrirò un aperitivo, per consolazione.
Accetta e, finalmente, prenoto i biglietti: martedì 19, ore 20.30, teatro Franco Parenti.
Mi rimane solo il dubbio che, più che per lo spritz, abbia voluto accompagnarmi per vedere come una poesia dialettale possa diventare spettacolo. Ma non lo ammetterà mai.
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