
Parlare di Pier Paolo Pasolini rappresenta, da sempre, una enorme sfida per tutti. Critici, intellettuali, giornalisti di ogni genere e grado sanno che l’unico modo per riuscirci senza peccare di hybris è portare, nei confronti di uno dei padri indiscussi dell’italianità, la stessa pietas erga deos et erga parentes su cui l’Enea Virgiliano poggiò le fondamenta di Roma. Far parlare Pasolini, riportare alla vita le sue parole quarant’anni dopo la sua morte, scoperchiarne la sconcertante attualità, è tuttavia cosa ben diversa, e impresa ancor più ardua. Lo sa bene Fabrizio Gifuni, classe 1966, fiore all’occhiello del mondo dello spettacolo italiano, che dall’11 al 15 novembre tornasul palco del Teatro Franco Parenti con un reading sul romanzo pasoliniano forse più noto alle cronache: Ragazzi di vita.
Per l’attore nostrano Pasolini non è solo una buona occasione per una lettura a voce alta, ma molto di più. Dopo l’esperimento Na specie di cadavere lunghissimo sotto la regia Giuseppe Bertolucci, che già lo portò a cimentarsi con l’auctoritas bolognese, Gifuni si rituffa a piene mani nel corpus Pasoliniano per restituirlo alla vita, tra passione viscerale, lucida analisi critica e fedele enunciazione (in romanesco) del testo.
In questa nostra Italia intrappolata nelle contraddizioni del nuovo millennio, purtroppo ancora troppo “somigliante a quella inferma/ che non può trovar posa in su le piume/ma con dar volta al suo dolore scherma” (Le Ceneri di Gramsci), i Ragazzi di Vita di Pasolini diventano la chiave di lettura di un presente contraddittorio, ingiusto e a tratti impietoso verso i suoi figli più giovani. Chi può meglio dare voce, oggi, alle contraddizioni di un Paese inginocchiato da una crisi – economica, politica e soprattutto culturale – se non quel Pasolini delle borgate romane, dell’esistenza che si fa dura, deforme e talvolta amaramente ironica, tra i ragazzi del sottoproletariato romano? Con Gifuni la ‘parabola borghese’ del Riccetto diventa metonimia delle contraddizioni storiche ed umane del capitalismo, le stesse esplose nella vita dello stimato economista Carlo Tommasi ne La Meglio Gioventù, la cui vita affettiva di affermato self-made man non è più riconciliabile con le sorti economiche, sociali e culturali del proprio Paese.
Il senso profondo del teatro, e di questo Pasolini a teatro, oggi, nel 2015, sta forse racchiuso proprio nelle parole di Gifuni: “il corpo a corpo con lo spettatore fa del teatro un’esperienza unica e irripetibile. Il campo magnetico prodotto dall’incontro tra il corpo degli spettatori e quello dell’attore può determinare […] un cortocircuito che non ha uguali dal punto di vista delle emozioni e della conoscenza.”
Versatile e istrionico ma mai fuori dai piani, Gifuni si fa umile interprete delle alterne vicende d’Italia e ci restituisce un ritratto – forse a tratti asciutto, ma sempre fedele – delle storture e bellezze del nostro Paese.
Il giudizio finale di questo audace esperimento teatrale è, come sempre in teatro, lasciato al sassolino del pubblico votante. Se vi capiterà però, rispolverando vecchi libri dei tempi del liceo o gli appunti dell’università, di incappare nel grande quesito Pasoliniano “Mi chiederai tu, morto disadorno, /d’abbandonare questa disperata/passione d’esser nel mondo?”, sappiate che la risposta la troverete al Teatro Franco Parenti l’11 novembre. Parola (e corpo) di Fabrizio Gifuni.
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11-15 novembre
Fabrizio Gifuni
legge
Ragazzi di vita
di Pierpaolo Pasolini
produzione Solares delle Arti
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