In viaggio fra Italia e Giappone con il maestro scultore Kengiro Azuma

A cura di Ginevra Isolabella della Croce
A cura di Ginevra Isolabella della Croce

Perché, lasciando il Giappone, ha scelto come nuova patria proprio l’Italia?

A diciannove anni combattevo nell’esercito dell’imperatore, lo veneravo come un dio, tutti noi lo veneravamo allora. Per lui e per la patria avevo scelto di dare la vita come kamikaze; il mio lancio era già programmato – mancavano solo due giorni – ma scoppiò la prima bomba atomica. Hiroshima. La guerra era finita due giorni prima della mia morte programmata. Improvvisamente capivo che tutto ciò in cui avevo creduto non c’entrava niente con Dio. Fu tremendo per me, mi chiusi al mondo per molto tempo. Ma già il campo dell’arte mi si apriva come una possibilità di rinascita.

Nel 1956 avevo finito i miei studi di scultura all’Università di Tokyo, ma avevo ancora bisogno di imparare. All’epoca era Parigi il centro dell’arte, io però scelsi Milano per quattro ragioni: il Duomo, il lago di Como vicino, la Scala e soprattutto il maestro Marino Marini che insegnava all’Accademia di Brera.

Appena arrivato, non conoscevo una parola di italiano: annuivo molto, capivo quasi niente; poi mi aiutò, paziente, il maestro Marino e anche una frase di Einstein che non avevo dimenticato: “Se la teoria è bella, la pratica non conta”. Per me voleva dire che il percorso è più importante del risultato, che non avrei mai dovuto perdere la forza di volontà, che avrei continuato a commettere errori e non sarei mai arrivato fino in fondo, perché si è sempre a metà strada: la fine è un mistero, è questo il bello.

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Il bello? È ciò che la spinge a creare?

Sì. La mia famiglia ha avuto per generazioni una fonderia di bronzo. Io ho conosciuto solo mio padre, ma dal nonno e dai miei avi ho ereditato la manualità e la sensibilità che mi hanno reso un artista. L’alternarsi di nascita e morte nelle generazioni degli uomini permette al ciclo della vita di non finire. Ogni persona, morendo, lascia dietro di sé un vuoto invisibile che agisce su noi vivi, motore delle nostre azioni – è quella forza che ci porta sulle tombe dei nostri cari con un fiore in mano. Quando morirò, rivivrò in mio figlio e poi lui nel suo. Nella mia scultura ho cercato di rappresentare questa visione con dei solchi nel ritmo della composizione, accostando due fessure l’una vicina all’altra con uno spazio che le separa: eredità interiori fatte di spazi terreni e di vuoti che sono presenze invisibili.

Non solo la vita e la morte, ma altri – infiniti – opposti formano il mondo, sempre uniti fra loro, alternandosi a vicenda. Così alla guerra seguirà sempre la pace e poi di nuovo verrà una guerra: nel tempo dell’una sono presenti i semi dell’altra ma, alla giusta temperatura, un’esplosione inverte le parti. Noi non possiamo fare altro che impegnarci perché i semi del bene prevalgano su quelli del male, mantenendo il giusto equilibrio.

C’è però un assoluto, qualcosa che non ha il suo opposto e che non ci sarà mai dato completamente, qualcosa a cui l’uomo può soltanto provare ad avvicinarsi: quanto più ci riuscirà, tanto più sarà riconosciuto in terra come “grande uomo”, “uomo di successo”. Questo assoluto, il divino, è il mistero che mi spinge a creare.

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Quindi tende a un fine irraggiungibile?

La mia vita è sempre una ricerca ed io continuo ad allenare la mia sensibilità d’artista cercando nelle cose che trovo un nuovo significato e una nuova possibilità di vita. Guarda: questa che vedi, è forse una semplice lattina di alluminio schiacciata e da buttare? No! Non vedi che è bellissima? L’ho trovata per strada, l’ho portata qui e l’ho fatta rinascere opera d’arte, per quel che vi avevo visto. Ma sulla Terra la cosa che mi sembra più simile alla perfezione che cerco è la goccia, mai perfettamente percepibile nella sua corsa dalla grondaia al terreno: non si è quasi ancora formata che già è caduta a terra, soggetta a una doppia forza, l’una che la chiama in alto e la assottiglia, l’altra che la tira dal basso, ingrossandola a ricordare la materia. Una volta a terra, evaporerà, condenserà e di nuovo rinascerà come goccia in un istante di impercettibile perfezione. Ecco il ciclo della vita, un giro tra la terra e il cielo. Attraverso la Natura, mi sono avvicinato alle forme perfette e ho cercato di rendere visibile l’invisibile, con la scultura. Ma la materia delude e solo ciò che posso continuare a sognare e immaginare mi vivifica. Marino Marini una volta, durante una pausa caffè, mi disse: “Guarda che belle gambe ha quella ragazza, ma non toccarle mai, o guai a te!”

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