Quando il cinema non va in vacanza

di Giuseppe  Paternò di Raddusa
di Giuseppe
Paternò di Raddusa

I programmatori dei palinsesti televisivi italiani – e lo diciamo con benevolenza, si capisce – non hanno mai avuto grande considerazione dei telespettatori sintonizzati sui canali generalisti durante le afose settimane estive. L’ideologia della replica si è imposta come vero e proprio fortino culturale per ogni trimestre afoso che si rispetti: e dunque assistiamo, impotenti, a un pullulare continuativo di detective in corsia, signore in giallo, donne per amiche, cui si affiancano i memorabili film tv che raccontano le epopee sentimentali in salsa crucca ispirate ai romanzi di Rosamunde Pilcher e Inga Lindström – forse le autrici più prolifiche di sempre, e non scherziamo.

Uno non vuole fare lo snob, per carità divina; è anche vero, tuttavia, che non si può misurare col contagocce un film decente ogni ventiquattro fondi di barile. Esistono tre vie: si può scegliere il sacrifizio, concedendosi ai palinsenti. Ci si può trasformare in Nosferatu, e passare le notti davanti a enrico ghezzi o a illuminate perle che avanzano nelle tenebre, come Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci o Non dite a mamma che la babysitter è morta, di Stephen Herek. Extrema ratio, si può pascolare su Facebook o più semplicemente, uscire con gli amici. Se leggete questo articolo, però, è altamente probabile che non abbiate degli amici; dunque, fin qui tutto ok.

Se, però, volete giocare facile, basta solo l’associazione tematica. Ovvero: pensare di dedicarsi anima e corpo a film ambientati in estate. Siano esse torride, sanguinolente, malinconiche, erotiche. Poco importa: purché non siano altre repliche. Ecco i primi film balzati alla mente, e se vi deludiamo perché non ci sono i vostri favoriti pazienza, c’è troppo caldo per discutere.

N.B. I titoli non sono elencati in ordine di preferenza. Troppo caldo anche per quello.

Stand by meRicordo di un’estate (1987), di Rob Reiner

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Non poteva mancare. Opera di assoluto culto ispirata a The Body di Stephen King, è una Bildung tradizionale, un racconto di crescita inter-generazionale e di addolcita tristezza. La ricerca di un cadavere d’infante costituisce questione di estrema moralità, il compianto River Phoenix in un ruolo che sembra cucito su misura per il suo nervoso, febbrile talento e una colonna sonora – che comprende Buddy Holly, Jerry Lee Lewis e la canzone di Ben King che dà titolo al film – indimenticabile. Per un’estate nostalgica e in balia delle memorie, con tanto di cadavere.

L’iniziazione (1986), di Gianfranco Mingozzi

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Un’altra Bildung, ma decisamente…. scollacciata. Riduzione cinematografica di Le prodezze di un giovane Don Giovanni di Guillaume Apollinaire, che limita molto gli “estremismi” carnali della fonte letteraria, riuscendo tuttavia a trasudare sotteso erotismo in ogni inquadratura. La storia dell’annoiato Roger (Fabrice Josso), in preda a furori molto poco astratti in un’estate di inizio Novecento, fa il paio con quella della girandola di donne che gravitano attorno alla villa in campagna al centro del film. Supercast: Serena Grandi, Claudine Auger, Marina Vlady, una ancora bambina Virginie Ledoyen. Trasmesso da poco – a onor del merito – su un importante canale televisivo. Per un’estate morbida e compiaciuta, come le curve e il sorriso della Grandi.

Cinque giorni una estate (1982), di Fred Zinnemann

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Un film straordinario. È l’ultimo lavoro di Fred Zinnemann, uno di quei registi che non si dimenticano. E non si dimentica nemmeno Cinque giorni un’estate, ambientato sulle Alpi Svizzere e fotografato in maniera stupenda da Giuseppe Rotunno; un’opera in cui l’amore è ri-elaborazione della memoria, e strumento doloroso. Un triangolo di anagrafica ambiguità: uno zio e la nipote innamorati, una guida alpina pronto a sovvertirne i vertici, un sentimento che non trionfa perché forse esiste male. Epilogo straziante, per tutti. Sean Connery, medico dai natali avanzati, ridefinisce il concetto di maturità. Per un’estate romantica, ma non convenzionale.

Il raggio verde (1986), di Éric Rohmer

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Uno dei titoli migliori del maestro francese, Leone d’oro a Venezia e documento impareggiabile di un’estate inquieta e in solitudine. Quella di Delphine (una Marie Rivière in stato di grazia), che si muove dal mare alla campagna, senza trascurare i rapporti umani, alla ricerca di quel quantum of solace destinato ad alleviare la sua lieve e invidiabile depressione. Perché anche le ferie, si sa, possono diventare un vero e proprio dramma esistenziale. Fino a quando, perlomeno, riusciamo a scorgere il raggio verde. Per un’estate nervosa, ma in fondo brillante.

Le vacanze di Monsieur Hulot (1953), di Jacques Tati

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Manco a dirlo. Candidato all’Oscar come miglior sceneggiatura, è un veicolo per l’incredibile talento di Jacques Tati; l’artista furoreggia in ogni inquadratura, e consegna ai posteri una figurina ritagliata e ripotenziata plasmata su Chaplin e Keaton, se possibile ancora più lontana dai crismi di tempo e spazio. La gag diventa elemento filosofico e strutturale di raffinata pertinenza, il garbo si unisce al sarcasmo, l’antropologia diventa conseguenza inevitabile. Per un’estate finalmente dissacrante.

Body Heat – Brivido caldo (1981), di Lawrence Kasdan

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La Florida, l’afa, il sesso (tanto). Sullo sfondo, l’american dream più proibito: l’omicidio, sapientemente intrecciato a un ragionamento tensivo sull’identità e le sue molteplici, umide declinazioni. William Hurt è un inetto da manuale, Kathleen Turner all’esordio turba più d’un pensiero. Per un’estate torrida, e letale.

Quando la moglie è in vacanza (1955), di Billy Wilder

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Basterebbe l’iconica scena di Marilyn, annunciatrice perturbante, con il gonnellino bianco in aria, sulla griglia d’aerazione. Basterebbe il genio di un autore come Billy Wilder dietro la macchina da presa, e il talento di Tom Ewell, in grado di strutturare un potenziale tradimento coniugale seguendo tempi comici brillanti e un asterisco speciale alla fantasia. E se non vi bastano, problemi vostri. Per un’estate, se non adulterina, quanto meno variopinta.

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