
“Che noia mortale”. Chi di noi a teatro non si è mai trovato con questo pensiero in testa, mentre con il corpo lottava per mantenere un contegno?
Servirebbe in questi casi un biglietto di sola andata per un viaggio nel tempo. Destinazione: gli anni del teatro futurista di Marinetti e sodali.
Era il 1915, quando un loro manifesto gridava forte e chiaro: «Noi condanniamo tutto il teatro contemporaneo, poiché è tutto prolisso, analitico, pedantescamente psicologico, esplicativo, diluito, meticoloso, statico, pieno di divieti come una questura, diviso a celle come un monastero, ammuffito come una vecchia casa disabitata». Una noia mortale, appunto.
Come imprimere allora una svolta? Marinetti pensò, innanzitutto, a un rinnovato rapporto con il pubblico.
Gli spettatori, tuonava, non possono starsene a muffire sulle poltrone come stupidi voyeurs. Bisognava dunque che la platea fosse coinvolta. «Qualche proposta a caso: mettere della colla forte su alcune poltrone – Vendere lo stesso posto a dieci persone – Offrire posti gratuiti a signori o signore notoriamente pazzoidi, irritabili o eccentrici, che abbiano a provocare chiassate. Cospargere le poltrone di polveri provochino il prurito, lo sternuto ecc».
Doveva essere arduo, in effetti, riuscire ad annoiarsi prendendo parte a una simile serata futurista.
Il caos regnava tra il pubblico, mentre qualcosa di non molto diverso accadeva con ogni probabilità sul palco. Marinetti, come in questa foto, osservava. Irriverente, e soddisfatto.
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