di Maria Teresa Magi e Valeria Claudia Orlando
In occasione della presentazione dell’ultimo libro di Antonio Calabrò La morale del tornio, cultura d’impresa per lo sviluppo che avrà luogo giovedì 4 giugno alle ore 18.30 presso il Teatro Franco Parenti alla presenza dell’autore e di moltissimi altri ospiti illustri, Chiamateci Sik-Sik vi racconta quali sono le proposte di Calabrò per rilanciare economia e impresa nel nostro paese.
In un paese ancora in piena crisi economica, in cui la motivazione e il desiderio di darsi da fare hanno lasciato spazio da un pezzo alla sfiducia, l’idea che la cultura possa e debba essere la chiave di volta per rimettere in piedi l’Italia e gli italiani è sicuramente interessante e degna di attenzione. Ed è proprio questa la visione che Antonio Calabrò espone nel suo ultimo lavoro, La morale del tornio, cultura d’impresa per lo sviluppo, pubblicato da Università Bocconi Editore.
Un saggio che esprime l’esigenza di un’economia diversa, di cui da anni si parla ma che appare ancora molto lontana dalla realtà: in un’ottica di contenimento della “turbofinanza” e di ritorno all’economia reale, l’obbiettivo da prefiggersi è quello di ridimensionare l’accumulazione da consumismo bulimico, in favore di una “decrescita felice”, per usare la celeberrima espressione coniata da Serge Latouche. Perché il fine dell’economia non è (e non deve essere) il mero profitto, ma la creazione di valore. Economico, ma anche sociale e culturale. Partendo da queste premesse, diventa davvero possibile immaginare e, infine, realizzare, un sistema economico libero dalle storture che ne hanno caratterizzato i recenti sviluppi e finalmente orientato alle persone. Sembra un’utopia ma, in realtà, di passi avanti in questo senso se ne sono fatti tanti; a partire dalla formulazione di nuovi indici di misurazione del benessere, alternativi al PIL, che ne valutino anche l’equità, la sostenibilità e la qualità, per finire col progressivo rifiuto delle due grandi abiezioni del sistema economico contemporaneo: la miseria e la ricchezza illimitata.
Per raggiungere obbiettivi così ambiziosi, occorre ripartire dalle origini, dal settore manifatturiero nel quale l’industria italiana affonda le sue radici, puntando sullo sviluppo di una cultura d’impresa che sia in grado di fondere l’hi-tech coi saperi artigianali, l’innovazione col senso storico della bellezza.
Dalla fuga dei cervelli alla questione euro, dalla rilevanza del “capitale umano” al problema dell’immigrazione, passando per quelle che sono le piaghe storiche del nostro paese (corruzione, criminalità organizzata, burocrazia inefficiente). Calabrò delinea un quadro fedele della realtà italiana e internazionale, ponendo l’accento sull’elemento culturale. Non solo cultura di impresa, tradizione imprenditoriale e artigianale, di cui pure il nostro paese è storicamente ricco, ma anche cultura nel senso stretto del termine: arte, design, musica, letteratura, da affiancare al settore industriale e dei servizi, per dimostrare che, checché se ne dica, con la cultura si mangia, e come.
Il “modello stem” (scienza, tecnologia, engineering e matematica) diviene dunque “steam”: una vera e propria riscoperta dell’arte come valore aggiunto, come elemento imprescindibile per lo sviluppo di una cultura di impresa, memore e rispettosa del suo glorioso passato e, cionondimeno, proiettata verso il futuro.
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