
Sono un uomo ridicolo. […] Sono sempre stato ridicolo e lo so, forse, fin da quando sono nato. […] Di me ridevano tutti e sempre. Ma nessuno di loro sapeva né sospettava che se c’era al mondo una persona che meglio di tutti gli altri era consapevole di essere ridicola, quella ero io.
Così inizia il breve racconto di Dostoevskij Il sogno di un uomo ridicolo, narrato da chi più avanti si definisce “un qualsiasi progressista russo contemporaneo (allora era il 1877 ca – n.d.r.) e ripugnante pietroburghese”.
Come il protagonista de Memorie del sottosuolo, il cui incipit è infatti molto simile (“Sono un uomo malato… sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole.”), questo narratore anonimo è “un uomo del sottosuolo – spiega Gabriele Lavia – cioè di quell’inferno sulla Terra abitato da dannati che vivono in cupa solitudine, indifferenza, livore, odio nei confronti degli altri ma che, a differenza degli altri, ha scoperto il segreto della bellezza e della felicità”.
Sul punto di suicidarsi sparandosi al cuore, infatti, egli cade addormentato e sogna di giungere su una Terra in tutto e per tutto identica alla nostra, ma senza macchia e senza peccato: Oh, subito, fin dalla prima volta che posai lo sguardo sui loro volti, io capii tutto! Questa Terra non era stata profanata da alcuna colpa e le persone che ci vivevano non avevano peccato, esse vivevano in un paradiso.
E al risveglio dal sogno… Decisi che avrei vissuto per predicare – che cosa? La Verità, perché io l’avevo vista, l’avevo vista proprio con i miei occhi, e in tutta la sua gloria! […]La cosa principale è: ama gli altri come te stesso, ecco che cosa è importante, ed è tutto, non occorre proprio nient’altro: sarebbe subito possibile mettere tutto in ordine.
Dopo essere stato diretto da grandissimi registi teatrali e cinematografici – da Giorgio Strehler a Mario Missiroli, da Dario Argento a Giuseppe Tornatore – ed aver vinto il Nastro d’argento come miglior regista esordiente per la versione cinematografica de Il principe di Homburg e il premio Olimpici del Teatro per il miglior spettacolo e la miglior regia con L’avaro di Molière, Gabriele Lavia ha scelto di dar voce (e che voce – ve la ricorderete forse nel doppiaggio italiano del celebre monologo del film V per vendetta) a un uomo considerato pazzo solo perché crede nel sogno che possa esserci la verità.
È stato un sogno, un delirio, un’allucinazione. Ma davvero vi sembra saggio dire questo? Un sogno? Ma che cos’è un sogno? La nostra vita non è forse un sogno?
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11 MAGGIO
SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO
di Fedor Dostoevskij
con Gabriele Lavia
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