
Il tutto iniziò un giorno poco dopo Natale quando mi svegliai con un solo obiettivo: trovare un libro da leggere. Dopo aver passato all’incirca un’ora a vagare fra gli scaffali di una libreria il mio sguardo cadde finalmente su un volumetto blu dal titolo “I giorni dell’abbandono”. Lo acquistai. In questo modo incontrai per la prima volta Elena Ferrante.
Totalmente ignara di tutta la misteriosa storia che ruota intorno a quest’autrice lessi il libro. E mi piacque. Molto. Allora decisi di leggerne un altro, “L’amore molesto”. E mi piacque anche quello.
A quel punto venni presa da una vaga curiosità: ma che faccia avrà questa Elena Ferrante? In preda a quella che chiamo la sindrome “Indovina chi?” (sindrome che colpisce gran parte di coloro cresciuti negli anni ’90 rendendoli particolarmente sensibili ai tratti somatici del volto di chiunque) volevo scoprire se tale Ferrante assomigliasse almeno un po’ alla donna che mi ero immaginata: una specie di incrocio fra la Dama con l’ermellino e Charlotte Gainsbourg.
Digitai “Elena Ferrante” nella casella dell’amico Google e dopo una frazione di secondo mi ritrovai sulla pagina Wikipedia dedicata all’autrice, dove, io ancora non lo sapevo, mi attendeva una sorpresa. Le prime righe recitavano, infatti, così:
Elena Ferrante (Napoli, …) è una scrittrice italiana.
Fin qui tutto bene. Poco male se la signora è d’altri tempi e pensa ancora che non stia bene divulgare l’età di una donzella.
Poi ancora:
Elena Ferrante è uno pseudonimo.
Qua le cose iniziano a farsi interessanti, pensai.
Tra le ipotesi fatte sulla sua vera identità ci sono quelle di Anita Raja, traduttrice e saggista partenopea, moglie di Domenico Starnone, di Starnone stesso, di Goffredo Fofi, e dei suoi editori Sandro e Sandra Ferri.
Momento di shock. Domenico Starnone. Nuovo momento di shock.
Qui bisogna aprire una parentesi: dopo “I giorni dell’abbandono” avevo infatti letto “Lacci”, l’ultimo romanzo pubblicato di Starnone e ricordavo ancora precisamente il momento in cui, leggendo le prime pagine, avevo pensato “Certo che sembra scritto dalla Ferrante, sarà un periodo che a intuito leggo tutti autori che si somigliano”. Oh, povera me ingenua!
Ma il meglio, o il peggio, doveva ancora venire… Sorvolando su queste epifaniche coincidenze stilistiche decisi di non dare troppa importanza al mistero Ferrante: per una della generazione cresciuta a “pane e strutturalismo” (cit. di una mia prof. universitaria) conta solo il testo, l’autore può essere anche il vicino di casa.
Lessi la quadrilogia de “L’amica geniale”. Ipotizzai, un giorno, che dietro quest’alias potesse celarsi la bidella di una sede distaccata di una famosa università milanese [per onor di cronaca c’è da dire che la suddetta passa tutto il giorno a leggere (!) libri (!!) di ottime case editrici (!!!) e a scrivere (!!!!) digitando furiosamente sul suo tablet]. Poi dimenticai Elena Ferrante.
Fino a quando un giorno, girovagando in Facebook m’imbattei in un post condiviso da non ricordo nemmeno più chi, pubblicizzante la presentazione del nuovo libro di una famosa (?) scrittrice italiana. Presa dalla curiosità decisi di visitare la sua pagina Facebook.
Guardando cose a caso arrivai ad aprire una nota di vecchia data, e… “Oddio, ma sembra lo stile della Ferrante! Cioè, questa è una cosa che potrebbe benissimo dire Lenù (la protagonista de L’amica geniale, ndr.). E se Elena Ferrante fosse…?”
Ora so che lo volete sapere. Ma se ve lo dicessi che segreto sarebbe?
Vi do allora qualche indizio (chi indovina non vince nulla, tranne, forse, un po’ della mia follia)
- è un’autrice italiana;
- ha un modo di vestire, diciamo, eccentrico;
- i testi pubblicati con il suo nome non sono nemmeno lontanamente riconducibili a quelli della Ferrante;
- se andasse al Premio Strega sono certa che ne vedremmo delle belle;
- nessuno, e mai nessuno, penserebbe che sia Elena Ferrante
Avete capito chi è?
PS: io spero comunque che dietro la Ferrante si celi Starnone, o un uomo qualsiasi, per sfatare, finalmente, il mito della scrittura “femminile”.
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