
Insignito nel 2013 del Premio Ubu come miglior testo straniero, Jucatùre (I giocatori), del drammaturgo catalano Pau Mirò, è stato adattato dall’attore e regista Enrico Ianniello in un linguaggio che prende la forza della tradizione partenopea e la rilancia grazie allo sguardo europeo dell’autore originario. A tema non c’è il gioco d’azzardo, come si potrebbe apparentemente pensare; protagonisti sono quattro uomini in cui ognuno di noi può riconoscere delle sfumature proprie, anche quei guizzi di follia che ci regala la storia. Abbiamo incontrato Ianniello, che oltre a curare la regia dello spettacolo ha ritagliato per sé uno dei ruoli principali, per scoprire qualcosa di più sui percorsi e sulle ragioni che l’hanno mosso a indagare ed esplorare il testo di Mirò.
Ci racconterebbe, in poche battute, «Jucatùre» di Pau Mirò?
Siamo di fronte a quattro personaggi che, da testo, non hanno né nome né un’età definita. L’unica cosa che li connota è la professione – perduta. Si tratta di una pièce «senza trama e senza finale», come dice Cechov, una storia che ci racconta come i personaggi abbiano abbracciato la loro disdetta, con un risultato nel linguaggio che diventa comico, e che restituisce la sensazione di quattro individui che non sono disperati, ma stanno su una zattera in mezzo al mare della modernità. Una zattera che corrisponde al luogo in cui si incontrano – la casa del professore – e che, idealmente, è il teatro: rappresenta il destino di tutti i personaggi, che esistono nella misura in cui sono attaccati a quella zattera. In questo senso sono per me iperteatrali: ogni personaggio di teatro esiste quando entra in scena. E se fosse vera la storia dei “jucatùre” esisterebbero solo nel momento in cui entrano in casa del professore.

Ne «I giocatori» troviamo il becchino, il barbiere, il professore e l’attore. Tutti tipi che appartengono alla nostra tradizione, tanto più napoletana. Come ha assegnato i diversi ruoli ai rispettivi interpreti?
Sono già così in catalano. Per quanto riguarda il ruolo del professore, ho scelto Renato Carpentieri per ragioni anagrafiche, avendo deciso che fosse un po’ più adulto degli altri; in più lui si porta dietro la questione irrisolta del padre e mi piaceva che fosse un adulto ad avere questa situazione in sospeso perché aumenta il conflitto interiore. A me piaceva molto il ruolo del becchino, anche perché nella messa in scena è affetto da una balbuzie devastante ed ero molto incuriosito dall’idea di indagare, da interprete, il punto di morte presente nella sua vita (la balbuzie, appunto): è come se morisse in continuazione. Ho, invece, affidato a Tony Laudadio il ruolo dell’attore perché credo che potesse mettere a servizio una sua capacità di freddezza – in senso positivo – davvero appropriata per vestire i panni di un attore così freddo da essere sempre ossessionato dalla ricerca dell’emozione. Infine il barbiere, in questa nuova tournée, viene interpretato da Luciano Saltarelli che ha nelle sue corde attoriali due caratteristiche di questa professione: l’eccesso di igiene e una tendenza alla pesantezza (ride, ndr).
Quanto di Eduardo c’è nel suo lavoro drammaturgico di adattamento?
Ti rispondo per interposta persona: Pau ha sempre confessato un enorme debito nei confronti di Eduardo, e questo è un aspetto molto bello perché essendo lui catalano legge Eduardo con un approccio europeo. Da napoletano lo riconosco, è nel DNA della generazione di cui faccio parte, e in più l’ho interpretato a lungo con Toni Servillo. Potrei dire che c’è molto Eduardo consapevole in Pau, e tanto Eduardo inconsapevole in me.
«I giocatori» è il secondo testo di Pau Mirò che traduce: cosa la colpisce di questo autore catalano?
È una di quelle scritture per il teatro dove un’ottima struttura drammaturgica si fonde a una capacità linguistica molto profonda. Mi colpisce molto che i suoi testi, adattati in napoletano, sembrano trovare la loro dimensione ideale – ed è una constatazione fatta da Mirò. Evidentemente far entrare la sua scrittura in uno shock con la cultura napoletana fa esplodere qualcosa di inaspettato anche per l’autore stesso.
A un certo punto il personaggio dell’attore dice: «Non sopporto l’ipocrisia del mondo del teatro. Mi pare più onesto rubare al supermercato, l’emozione è molto più pura». Cosa ne pensi?
È un gioco che fa Pau. Questa è una tipica battuta dove si rincorrono molti sensi perché lui odia l’ipocrisia del mondo del teatro, che è però, a sua volta, fondato sull’ipocrisia e lui ne fa parte. Mirò vi ironizza su, oltre a dire una verità. Anche perché, spesso e volentieri, a teatro ci si annoia.

Una curiosità: nel suo allestimento mettete in scena delle partite a carte oppure, in linea col testo, no?
Questo è un aspetto interessante, perché l’essere giocatori è una metafora della loro esistenza: la partita a carte non comincia mai veramente perché sono immersi in una partita che si svolge quotidianamente. La nota più bella dei loro caratteri è la mancanza di “capitale” da potersi giocare una volta per tutte al rouge noir e la casa del professore è il luogo in cui il fallimento diventa il loro capitale umano.
Cos’è per lei il «gioco del teatro»?
Per me non è tutto il teatro, è tutto il gioco del teatro. Una delle indicazioni più belle che mi sia stata data, come interprete, da un regista è stata: «tu sei bello quando giochi». Per me il gioco del teatro diventa tutto ancor più nel rapporto con gli attori, tanto da invitarli moltissimo a improvvisare. È un gioco, per me, che si rivela come il capitale più forte da poter spendere in qualità di regista: la capacità di andare in scena e mettersi in discussione, quando giochi ciò che resta è il divertimento ed è fondamentale quando accade e si riesce a ottenere. Nella vita è talmente tutto gioco del teatro che non riesco neanche a descriverlo: su qualunque cosa io rifletta, centralmente o a livello limitrofo, il teatro e l’arte occupano un ruolo fondamentale. E alla cima dell’essere una professione e un lavoro di artigianato, vorrei che rimanesse sempre un gioco, altrimenti credo che non riuscirei più a farlo allo stesso modo.
16 | 25 gennaio 2015, Teatro Franco Parenti
I GIOCATORI
di Pau Mirò
con Enrico Ianniello, Renato Carpentieri, Tony Laudadio e Luciano Saltarelli, traduzione e regia Enrico Ianniello
Per il ciclo Il Piacere del Testo
progetto a cura di Irene La Scala
Mercoledì 21 gennaio, ore 18
ELOGIO DEL FALLIMENTO
Lezione magistrale di Massimo Recalcati
Informazioni e prenotazioni: 02.59995206
Teatro Franco Parenti, via Pier Lombardo 14, 20135 Milano (MI)
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