Io, Filippo e Skianto – Diario di un incontro, IV e ultima parte

di Andrea Di Donna
di Andrea Di Donna

Quarta puntata

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Skianto per me ha rappresentato l’imperdibile occasione di osservare come lavora un regista e un attore vero. Quando entra in teatro, Filippo, senza perdere tempo, da voce alle sue scottanti perplessità. Il primi nomi che chiama sono in genere quelli di Mirco, l’elettricista, e di Emanuele, il fonico. Se entrando in teatro sentite una voce rauca e intensa esclamare «Mirco!» o «Manu!», vuol dire che Filippo sta provando, e bisogna muoversi con molta cautela. Io tento spesso di chiedere se posso essere utile a qualcosa, ma Albertino, il direttore di scena, o Francesca, l’amministratrice di compagnia, mi dicono sempre che i miei compiti sono altri. Il mio lavoro è suonare, d’accordo. Ma mi sento in colpa a presentarmi in teatro solo allo scopo di fare il sound-check e di esibirmi. Una volta mi rivolsi ad Albertino chiedendogli se poteva affidarmi qualche incarico. Mi disse che per il pomeriggio del giorno dopo non c’era problema. Il giorno dopo mi svegliai di pomeriggio. Giunsi a teatro poco prima dello spettacolo. Avevo perso la mia occasione.

L’ambiente del teatro Parenti è come la vita ripresa in un film di Woody Allen. L’ironia e la dolcezza non mancano mai. Anche quando sorgono problemi apparentemente insormontabili, e qualcuno assume un espressione preoccupata, si ha la possibilità di ottenere sempre uno sguardo complessivo su tutto. Anche nella tragedia peggiore si respira l’aria di commedia. Tutto può accadere. Così ad una situazione drammatica ne può seguire una divertente e piacevole. Non stupisce come un teatro come quello di Filippo, che in ogni sua scena fa collidere il cielo sereno con la tempesta, abbia eletto il Parenti a sua dimora prediletta.

Filippo Timi e Andrea Di Donna, foto di Fabio Corradi
Filippo Timi e Andrea Di Donna, foto di Fabio Corradi

Quando entro nell’edificio del Parenti sono sempre timido. Converso soltanto con chi prende per primo l’iniziativa di rivolgermi la parola. Mi sento quasi sempre inopportuno. Anche quando è il mio turno penso sempre che la parola spetti a qualcun altro. Ma va bene così. È pieno di belle ragazze. Amo le ragazze, soprattutto quelle che pur facendosi il culo sanno conservare intatto il loro fascino. Ogni lavoratore del teatro Franco Parenti ha qualcosa di magico che porta sempre con se, qualcosa di non detto, che si lascia desiderare. Ogni volto ha in se un mistero. Ogni sorriso è un attraente inganno. Il senso più profondo del teatro è ovunque. Non è forse il teatro stesso un inganno? Chi sa riconoscere questa verità ammette di non capirci nulla, e che mai nulla in fondo capirà. È questo mistero che tento di concretizzare tutte le volte che sono sul palcoscenico accanto a Filippo. Poche volte vi riesco, quasi sempre fallisco.

Filippo è tanto l’uomo sul palcoscenico, quanto l’uomo spettatore del suo personaggio. A Verona, alcune settimane fa, dopo lo spettacolo, mi accolse per pochi minuti nel suo camerino. Si era accorto che c’era qualcosa di strano in me. Scelsi di non confidarmi. Gli dissi di aver notato, quella sera in particolare, la sua straordinaria capacità di citare tutti i personaggi assenti sulla scena. Assunse un’espressione confusa e mi chiese un po’ irritato: «Che intendi per citare?». Temeva che il mio complimento celasse un appunto. Tutt’altro. Gli spiegai il senso che assume il termine nel vocabolario Brechtiano. Si persuase che la mia osservazione non fosse una critica negativa. Quale critica sensata lo è? In Skianto, il suo modo di passare spesso dal discorso indiretto a quello diretto (ad esempio quando racconta l’aneddoto su Candy Candy, sul nonno Giubbino, su Pinocchio e della Fatina), corrisponde in tutti i sensi a un citare, ovvero a un momento di immedesimazione non totale. Tale metodo è molto efficace, perché ogni volta consente allo spettatore di ricordarsi che non sta assistendo all’ “evento” vero e proprio, ma ha di fronte a se una riproduzione di esso. Citare, per Filippo, vuol dire uscire momentaneamente fuori dal personaggio, mostrandolo come depositario di tanti altri, e nel passaggio tra una maschera e l’altra c’è l ‘attore, che non teme di rivelarsi. La conversazione proseguì ancora qualche minuto. In breve Filippo mi confidò che agli inizi della sua carriera, qualcuno che aveva riconosciuto in lui un grande talento, gli diede un sentito consiglio: «Per essere un grande attore devi saper stare sia dentro che fuori».

Nei giorni seguenti riflettei spesso su questa frase. Sulla scena ne riconobbi a pieno il senso. Filippo si spia da fuori, calandosi negli sguardi del pubblico. La sua specialità consiste nel non nasconderlo. Egli non teme di uscire dal teatro, rivelando così che è teatro ciò che sta facendo. Non ha paura di uscire dalla sua parte, perché sa che può farvi ritorno quando vuole. Sa smentirsi e riconfermarsi di continuo, riesumando ciò a cui poco prima pareva avesse dato l’ addio per sempre. Il suo teatro non è mai un addio, ma sempre un arrivederci.

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