
Prima puntata del diario di Andrea Di Donna, musicista e compositore, voce e chitarra di ‘Skianto’.

Prima puntata
Conobbi Filippo all’improvviso, in un famoso teatro della mia città, Roma. Avevo 23 anni. Nel Luglio del 2011 ricevetti una chiamata da un folle compagno di classe delle medie, con cui nel corso degli anni continuavo a coltivare amicizia altalenante. «L’ hanno occupato!» esclamò al telefono, e io risposi, già spazientito, «cosa?», e lui, «Il Valle, e tu devi venire a cantare!». Non avevo la benché minima idea di cosa stesse parlando, ma quel giorno ero in vena di esibirmi. Uscii di casa, e raggiunsi il Teatro. Da poche settimane era stato occupato: era pieno di ragazzi e ragazze che si davano da fare per svolgere al meglio le loro mansioni. C’era attività, c’era movimento, c’era aria di rivoluzione. Non mi esibii quel giorno, ma vi tornai neanche una settimana dopo. A turno calcavano la scena artisti di ogni sorta, sia attori che musicisti: ero in preda all’agitazione. Per alleviare la tensione mi misi a parlare con una bella fanciulla dagli occhi azzurri che percorreva avanti e indietro, come smarrita e, apparentemente senza meta, i corridoi che davano ai camerini. Pensai subito: «finalmente qualcuno che non deve andare da nessuna parte..». Sembrava capace di comprendere il mio stato d’animo. Sorrise. Quando una ragazza sorride, vuol dire che le piace quello che sta ascoltando. Pronunciavo rapidamente una parola dietro l’altra elaborando un infinità di discorsi che non conducevano a nulla, solo per tentare di trovare nel prosaico una fuga dall’inquietudine, a cui ora si era sommato l’amore. Prima mi sentivo brutto e vigliacco. Ma di fronte a lei diventai magnifico. La sua ironia mi salvò. Mi abbracciò intensamente e mi disse che dovevo stare tranquillo perché sarebbe andato tutto bene. Non scorderò mai quel momento. Il suo nome l’ho dimenticato. Quando toccò a me, raggiunsi il palcoscenico timidamente e colmo di nuova agitazione. Ma questa volta le ombre più oscure erano assenti. Avvicinai la bocca al microfono e dissi: «Questa canzone… vorrei dedicarla… alla ragazza che ho conosciuto stasera…» Sopraggiunse il panico. Temetti di aver detto qualcosa di assolutamente stupido, e col pensiero mi mossi subito un severo rimprovero. Ma i miei timori vennero immediatamente smentiti dai sorrisi e dagli applausi del pubblico.

«Cominciamo bene», pensai stupito. Finsi tuttavia di aspettarmi quella reazione. Non volevo dare l’idea di aver detto qualcosa di non calcolato. Eseguii il mio cavallo di battaglia, ovvero, Don’t be shy, di Cat Stevens. La mia performance sarebbe dovuta durare, come le altre, massimo dieci minuti. Durò circa 2 ore. Il pubblico sembrava non averne mai abbastanza. Non c’era dubbio. Quella era casa mia. Riuscii magicamente a dimenticare le preoccupazioni che da un anno assalivano le porte della mia mente. Su quel palco non c’erano vincoli, soltanto libertà. Fu la sera successiva che conobbi Filippo, dopo essermi esibito nuovamente su quel magico palcoscenico. Finita la performance, mi diressi verso i camerini. Ero sudato e stordito da nuove forti emozioni. All’improvviso vidi questo sorridente uomo gigante dirigersi verso di me con un andamento deciso e imponente. Tutti gli facevano largo. Guadagnata la mia postazione, esclamò: «ma tu sei Jeff Buckley?!?». Chi era questo tizio? Io non l’avevo mai visto prima… In breve attorno a noi si creò una folla di gente. Fu come se il teatro si fosse arrestato. Era evidente che non si trattasse di uno qualsiasi. Mi chiese una demo da far ascoltare alla Caselli, dicendo di conoscerla benissimo. Non potevo credere a quello che sentivo. Finalmente mi veniva offerta l’irripetibile occasione di incontrare la produttrice di Elisa! E chissà.. magari potevo anche sposarla Elisa! Farci dei bambini! Costruirmi una famiglia con lei! Ma l’unica cosa che potevo costruire erano una valanga di bei pensieri destinati a decadere di fronte a un’unica conclusione: avevo già un contratto discografico…
E poi? 🙂
Presto in arrivo la II puntata! Continua a seguirci 🙂