Il diavolo veste Dondoni

di Federica Papapietro
di Federica Papapietro

Non di sola drammaturgia respira il teatro; alla realizzazione di uno spettacolo, si sa, lavorano sì attori e registi, ma anche numerosi professionisti dalle molteplici specializzazioni. Come le sarte, per esempio. Di solito, quando si fa riferimento a tale figura, si pensa automaticamente a una vecchina con ago, filo e tanta buona volontà. Simona Dondoni, la sarta di tanti spettacoli del Teatro Franco Parenti, è pronta a ribaltare ogni ovvietà: giovane, bella, energica e vitale, risponde alle nostre curiosità sugli inconvenienti, i rischi e le soddisfazioni della sua professione – svelando anche qualche trucco del mestiere…

Cristina Dondoni
Simona Dondoni

 Si sente protagonista quando vede gli abiti che realizza in scena?

Assolutamente sì: c’è uno studio, un pensiero di gruppo. Io sono anche sarta, e sono un po’ più pratica rispetto alla figura del costumista. Il costumista, invece, disegna spesso un abito che deve avere un certo impatto e una certa immagine, e sta a me dover dire: «sì, così va benissimo… però non funziona», e allora si trova una soluzione. Il bello di questa professione è che, dietro la semplicità di un abito, è possibile trovare delle funzioni. Ci vuole fantasia, bisogna procedere per tentativi. Mia nonna faceva questo mestiere – e lavorava in questo teatro anche lei. Mi diceva sempre: «è meglio fare prima una pensata e poi una lavorata». Se si pensa bene a quello che si deve fare, si lavora con meno fatica.

Le piace di più realizzare abiti contemporanei o d’epoca?

Lavorare con abiti d’epoca, sicuramente. È una sfida. Poi dipende dai casi, s’intende: porto l’esempio Esequie Solenni, messo in scena qualche stagione fa da Andrée Ruth Shammah. All’inizio mi dissero semplicemente che avrei dovuto vestire le due protagoniste di nero… Poi ho scoperto che avrebbero dovuto indossare abiti particolari, estremamente femminili, restando tuttavia coperte. Le loro giacche, a un certo punto, avrebbero dovuto aprirsi e trasformarsi in un frac. Soltanto con un gesto, però, poiché non potevano cambiarsi, nemmeno dietro le quinte. Allora ho escogitato dei trucchetti: non potendo usare il velcro – perché in scena avrebbe fatto troppo rumore – ho cucito una calamita all’interno della giacca. E subito, con un gesto veloce, diventava un frac.

 

Da dove prende l’ispirazione?

Penso. Delle volte arrivo a oscurare me stessa, è vero. Anche a casa, quando vado a letto, mi impegno ad avere ben chiaro il quadro di tutto, immaginando come risolvere tanti problemi. Spesso mio marito mi dice che il clima del mio lavoro è uguale a quello del pronto soccorso… Quando ho rinunciato al mio lavoro per crearmi una famiglia, però, ho sofferto. Poi ho sentito un richiamo: sono tornata in punta di piedi. Pensavo che non sarebbe stato possibile, con due bambini. E invece eccomi di nuovo qui. E ai miei figli dico sempre: «cosa ve ne fate di una mamma sempre presente ma infelice? Meglio una mamma meno presente ma felice!». Però non saprei se sia una vera e propria ispirazione. Io non creo. È più il costumista che dà l’idea, con il regista che stabilisce infine la decisione finale. Io sono in mezzo a cercare di accontentare tutti e due. È anche un lavoro di alta psicologia. E poi ci sono gli attori… ho la sensazione che a volte, quando non si sentono a loro agio, la prima cosa su cui si sfogano sono i costumi. E allora delle volte vai a mettere d’accordo loro, il regista, il costumista…

Il laboratorio di sartoria dove Simona Dondoni crea, smonta, taglia e cuce...
Il laboratorio di sartoria dove Simona Dondoni crea, smonta, taglia e cuce…

Ci racconti piccoli, inconfessabili segreti che scopre mentre lavora con loro…

Mai! Sono una tomba, anche perché con loro si crea un rapporto molto amichevole. Quando arrivano attori che non conosco, ci mettiamo in stato di osservazione per qualche giorno. E quando tornano mi considerano un punto di riferimento, perché ormai si considerano a casa. Difficilmente ho avuto un problema con qualcuno, so stare al mio posto e non superare la linea rossa. Se c’è l’occasione di andare in tournée, poi, si creano rapporti intensi e amplificati, perché si sta sempre insieme. Quando si è qui a teatro in allestimento, non facciamo che prenderci cura l’uno dell’altro. Ci sono delle confidenze molto profonde sia da parte loro, che da parte mia. E che tengo per me, sia chiaro!

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