
Secondo appuntamento per Lezioni di Rock, ciclo d’incontri guidato dai critici musicali Gino Castaldo ed Ernesto Assante, orientato a riscoprire e approfondire le tappe significative e fondamentali nella storia del rock, in un percorso, distribuito su cinquant’anni, che intreccia mirabilmente musica, lyrics e filmati di repertorio.
Dopo aver dedicato il primo appuntamento a Highway 61 Revisited di Bob Dylan, l’attenzione di Castaldo e Assante si concentra, giovedì 6 novembre alle 18.30, su quello che è considerato uno degli album migliori di tutti i tempi: Abbey Road dei Beatles, per molti simbolo del crepuscolo che, da lì a poco, sarebbe calato sulla band. Abbey Road è, ad oggi, un titolo emblematico, ricordato sia per il memorabile scatto pedonale (finito nella copertina del cd, dove non compaiono né il titolo né il nome del gruppo) di Ian Macmillan dell’8 agosto 1969, sia per le tracce contenute – tra le altre, Come Together, Something, Here comes the sun, Oh!Darling. Realizzato in un’atmosfera disordinata – gli attriti tra i componenti della band pulsavano in maniera ormai ingestibile – ma creativamente fervida, è un album immaginifico, frammentario e liberamente inorganico.
In attesa di gustarci la lezione di Castaldo e Assante, la redazione di Chiamateci Sik-Sik si è affidata alla consulenza di due dei suoi più apprezzati collaboratori: Luca Cecchelli e Livio Giuliano, uno musicista e l’altro musicologo. I nostri hanno scelto quelli che, a loro giudizio e discrezione, rappresentano i pezzi migliori della band dei baronetti del rock. L’invito ai nostri lettori, aspettando l’incontro del 6 novembre, è di comunicarci spassionatamente il loro titolo preferito. Un avviso, tuttavia, è d’obbligo: non garantiamo su eventuali zuffe e polemiche ad aeternum.

1) Eleanor Rigby. Album di provenienza: Revolver (1966)
Scelta perché: mccartneyana fino al midollo, è un indimenticabile e malinconico inno alla solitudine accompagnato da un suggestivo quartetto d’archi vivaldiano. «Look at all the lonely people…»
2) Helter Skelter. Album di provenienza: The Beatles (1968)
Scelta perché: anticipatrice di generi come l’heavy metal e l’hard rock, è una canzone anomala, una traccia sporca e brutale, ossessiva, tortile e psichedelica, tanto da ispirare l’eccidio, nella villa di Roman Polanski, compiuto dalla banda di Charles Manson.
3) Octopus’s Garden. Album di provenienza: Abbey Road (1969)
Scelta perché: è arrivato il momento di restituire i dovuti onori al suo sottovalutato autore, Ringo Starr, all’epoca snobbato da Lennon e McCartney – ma assai apprezzato da George Harrison. A torto, poiché Octopus, ispirato da una gita in barca di Ringo con Peter Sellers, è un brano autoironico, coloratissimo e inventivo.
4) We can work it out. Secondo lato A del singolo Day Tripper (1965)
Scelta perché: ogni mattina dovremmo svegliarci con questo brano a tempo di valzer, emblematico dello splendido binomio Lennon-McCartney, nel ritornello che invita al confronto e all’ottimismo per superare ogni difficoltà.
5) In my life. Album di provenienza: Rubber Soul (1965)
Scelta perché: sebbene la canzone, che si conclude con «In my life/I love you more» (Nella mia vita amo più te), sia un viaggio biografico nel passato di Lennon, ogni ascoltatore può intimamente sapere a cosa si riferiscano quelle parole… nella propria vita.
6) Long, Long, Long. Album di provenienza: The Beatles (1968)
Scelta perché: scritta da George Harrison, ispirato da Sad-Eyed Lady of the Lowlands di Bob Dylan (Blonde on Blonde, 1966), è un brano essenziale, vibrante e dolcissimo, indicativo della nota vocazione del suo autore verso le religioni orientali. Potrebbe essere dedicata a una donna, ma in realtà sai che dietro si nasconde Dio.
7) Drive my car. Album di provenienza: Rubber Soul (1965)
Scelta perché: i Beatles non si stancano mai di inventare metafore osé. Come per questa traccia allegra e scanzonata, in cui un’aspirante movie-star invita un giovanotto a farle da autista. Drive my car, come chiosava McCartney davanti a Barry Miles, è un vecchio «eufemismo blues che indica il sesso».
8) Revolution. Lato B del singolo Hey Jude (1968)
Scelta perché: al ritmo di un rock trascinante e graffiante, il brano consente un’importante riflessione su quanto sia difficile comprendere se a cambiare dobbiamo essere noi, oppure il mondo che ci circonda. Apparsa – in variazione blues – anche nell’album The Beatles (1968).
9) Revolution 9. Album di provenienza: The Beatles (1968).
Scelta perché: Non abbiamo sbagliato a scrivere. Revolution 9 è un brano tra i più avant-garde dell’intera produzione del gruppo. Formalmente attribuito a Lennon-McCartney, fu in realtà scritto dal primo con l’aiuto di Yoko Ono, ispirati ai moti sessantottini e alle suggestioni di Karlheinz Stockhausen. In molti lo ritengono zeppo di messaggi satanici, occulti e subliminali, e di riferimenti all’ormai leggendaria teoria del complotto sulla morte di Paul McCartney.
10) Strawberry Fields Forever. Album di provenienza: Magical Mystery Tour (1967)
Scelta perché: composta da John Lennon durante le riprese di Come ho vinto la guerra (1967) di Richard Lester, con la sua sognante vena psichedelica invita dolcemente a estraniarsi da tutto, così, semplicemente chiudendo gli occhi.
Giovedì 6 novembre ore 18.30 @Teatro Franco Parenti
LEZIONI DI ROCK: THE BEATLES, ABBEY ROAD
di Assante e Castaldo
Informazioni e prenotazioni: 02.59995206
Teatro Franco Parenti, via Pier Lombardo 14, 20135 Milano (MI)
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