Finalmente Truffaut

Tra i molteplici appuntamenti previsti dalla quindicesima edizione de La Milanesiana, ce n’è uno che cattura irrimediabilmente l’attenzione di noi cinefili: Finalmente Truffaut, di Mario Sesti e Valerio Cappelli, con Sergio Rubini.Martedì 8 luglio, sul palco del Teatro Franco Parenti, l’attore ripercorre la vicenda di François Truffaut attraverso la lettura degli scambi epistolari del regista con Alfred HitchcockEric RohmerJean-Luc Godard e André Bazin. Un’occasione imperdibile per ricordare un autore, scomparso ormai trent’anni fa, cui la redazione di Chiamateci Sik-Sik è particolarmente affezionata.

François Truffaut e Alfred Hitchcock
François Truffaut e Alfred Hitchcock

Lo facciamo, va da sé, a partire dalle sue opere. Sconvolgenti, feroci, dolci e delicate: François Truffaut è riuscito a celebrare una sorta di nervosa, piacevole irrequietezza in grado di sciogliersi, prendendo forme e sentieri diversissimi tra loro. Sarebbe, tuttavia, un’etichetta oltremodo riduttiva per descrivere la fondamentale importanza di un autore che nasce derivativo – sono note le affezioni e dichiarate ispirazioni al cinema di Jacques Becker, Sacha Guitry, Max Ophuls , Alfred Hitchcock e Jean Renoir – e diventa generativo: il suo cinema è molto più che ispirato omaggio a grandi nomi, e diventerà modello significativo per un’intera generazione di registi, europei e non, da Peter Bogdanavich ad Arnauld Desplechin. E sarebbe inoltre limitativo considerare come impetuosa e necessaria la transizione del giovane Truffaut dalle pagine di Arts e dei Cahiers du Cinéma all’ascesa alla carica di auteur, forse uno degli ultimi, abbracciando ironicamente (e involontariamente?) quella riflessione da lui teorizzata nel 1954, quando contrapponendo il cinema di Renoir a quello (ben più accademico) di Jean Delannoy, sosteneva che non esistessero brutti film, ma registi incapaci.

truffaut adjani
François Truffaut e Isabelle Adjani sul set di Adele H. (1975)

A partire dal rinnegato cortometraggio Une visite (1954), che vedeva tra i protagonisti Jean-José Richer (critico dei Cahiers, che davanti alla cinepresa si cimenta con il trucco della «locomotiva a vapore») con i colleghi Jacques Rivette e Alan Resnais rispettivamente alla fotografia e al montaggio, fino ad arrivare a Finalmente domenica!, magnificato dal folgorante bianco e nero di Nestor Almendros e appassionato intreccio di intelligente autoreferenzialità e omaggi alla tradizione dei polizieschi in noir americani degli anni ’50, il cinema di François Truffaut ha celebrato, con spirito vigorosamente critico, la nevrotica incompatibilità a conciliare uno streben quasi incontrollato verso il consenso e l’approvazione dal punto di vista morale, sociale e sentimentale e, nel contempo, la vocazione a una solitudine malinconica e costruttiva. Molti dei suoi personaggi, dalla tragica eroina Adele Hugo all’imperterrito Belmondo di La mia droga si chiama Julie, entrambi di fronte a un amore irrealizzabile, sono rappresentativi di un’impossibilità fattiva in grado di incuriosire e catturare il pubblico. Amori e morbose ossessioni che inchiodano lo spettatore e gli mostrano le loro strutture semplificate e scarnificate, quasi a volerlo interrogare con basica linearità: quelli del redattore reduce di guerra Julien Davenne, che in La camera verde è attanagliato da un pensiero costante alla morte e al ricordo della moglie scomparsa (di nome Julie, lo stesso della vendicativa Jeanne Moreau nell’hitchcockiano La sposa in nero, in un raffinato gioco di rimandi e citazioni), del bizzarro triangolo su cui si imbastisce l’eterno gioco del sentimento in Jules e Jim, o ancora dell’ingegnere protagonista di L’uomo che amava le donne, in cui il gentil sesso trova rappresentazione e forma sintetica nella passione dell’uomo per le gambe delle giovanotte.

Truffaut, negli anni, gira capolavori assoluti e si impegna a generare un intreccio virtuoso che congloba passato e presente, privato e personale: con Le due inglesi si concretizza nuovamente – dopo aver trasposto Jules e Jim – l’ammirazione e l’affetto per Henri-Pierre Roché, con Effetto Notte l’esperienza di un film nel film la fa da padrone. In Baci rubati Antoine Doinel, alter ego dell’autore, dopo aver scoperto le onde del mare (e, forse, molto altro) ne I 400 colpi, si improvvisa portiere di notte, tecnico riparatore di tv, e detective privato assoldato per controllare una donna di cui si innamora, in un periodo in cui è Truffaut stesso a ingaggiare un investigatore per risalire all’identità del padre biologico. Dal tributo alla vitalità dell’infanzia de Gli anni in tasca all’improvvisa, risolutrice e furibonda sequenza finale de La calda amante, senza trascurare la saga di Antoine Doinel (cui vale la pena ricordare il dolce e dolente episodio Antoine e Colette contenuto in L’amore a vent’anni) quello di Truffaut è un cinema che racconta l’indolenza, l’ossessione e l’ambizione con sicurezza e coinvolgimento senza pari, in grado di stravolgere e rileggere con straordinaria abilità e potenza un capolavoro come Farenheith 451 (da Ray Bradbury, forse il suo film più sottovalutato), o di illustrare con laccato ardore, ne La signora della porta accanto, il devastante e ombroso sentimento di una coppia che non può amarsi.

Da sinistra, Jean-Pierre Léaud, Madeleine Morgenstern, François Truffaut e Jean Cocteau a Cannes, nel 1959, per la premiére de I 400 colpi
Da sinistra, Jean-Pierre Léaud, Madeleine Morgenstern, François Truffaut e Jean Cocteau a Cannes, nel 1959, per la premiére de I 400 colpi

Su tutto, la magnifica ossessione di fare cinema, e di farlo bene, lontano da quell’accademismo che rimproverava a molti contemporanei: lo si intuisce facilmente dalla dichiarazione «di fiducia», come la definisce Carole Le Berre, a Marcel Moussy, invitato a collaborare alla sceneggiatura di quello che sarebbe dovuto essere un ampliamento al cortometraggio Les Mistons e che invece sarebbe diventato I 400 Colpi. «Dieci anni fa André Bazin mi salvò da una situazione difficile, diventando in un certo senso il mio tutore […] Come lui mi ha aiutato a ‘correggere il tiro’ nella mia esistenza, così lei mi aiuterà a fare un film che sarà qualcosa di più d’una confessione piagnucolosa e compiacente, un vero film».

La Milanesiana 2014

FINALMENTE TRUFFAUT

Martedì 8 luglio ore 21.00 @ Teatro Franco Parenti

di Mario Sesti e Valerio Cappelli

con Sergio Rubini

http://www.lamilanesiana.it

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