
Nel centenario della nascita di Albert Camus, premio Nobel per la letteratura, Fabrizio Gifuni porta in scena Lo straniero in un adattamento scevro da ogni formalismo che valorizza il suo incredibile talento d’interprete.
Per molto tempo, seguendo un procedimento che mescola pigrizia e tendenza, in tanti hanno ritenuto opportuno sostenere che Lo straniero di Albert Camus afferisse alla corrente esistenzialista. Non è del tutto errato, ma rappresenta, forse, la maniera di comodo per sintetizzare (in maniera sbrigativa e nemmeno troppo brillante) l’impietoso, dolente e malinconico furore di un romanzo che, bandendo ogni formalismo, racconta una vicenda di indifferenza e terrore, in cui l’orizzonte degli eventi si staglia inumano, implacabile e feroce.
Lo capisce chi ama Camus a prescindere dalle mode, e lo ha ben capito Fabrizio Gifuni, protagonista di Lo straniero, un’intervista impossibile, reading-spettacolo ispirato al romanzo. Si potrebbe banalmente immaginarlo sulla scena vestito di nero, magari con un cappello in testa, a simboleggiare un insopportabile esistenzialismo da copertina. Non è così: Gifuni arriva sul palco, libero da ogni vincolo scenografico (eccezion fatta per alcune casse in ferro, microfoni d’ordinanza, e postazione computer), indossando un completo lattiginoso con camicia e pantaloni larghi, in modo da rievocare, più che i cinici girocolli da rive gauche, l’abbigliamento da passeggiata su un rumoroso corso nordafricano (come da coerenza con il romanzo, peraltro). È a cominciare da questo elemento, impalpabile in apparenza, che l’universo di Camus e quello di Gifuni si fondono in maniera significativamente sensibile: l’attore, in poco più d’un ora, condensa con intelligenza (aiutato dalla felice riduzione di Luca Ragagnin) le pagine dello scrittore, e il suo vocabolario a tratti umido, a tratti bruscamente essenziale. Senza vezzi o smancerie, offre con misura una rilettura evocativa e personale, che valorizza al massimo il suo incredibile talento d’interprete quando, sulla scena, incarna l’imperscrutabile e parimenti titanico carattere del protagonista Meursault, «crocifisso» in nome del popolo francese poiché incapace di struggersi sulla tomba della madre, vittima ante-litteram di un sensazionalismo che impone dolore condiviso e lacrime comuni. Riesce a incidere laddove il film di Luchino Visconti, sin troppo calligrafico, inerte e votato all’opera di Camus, aveva fallito: Gifuni, secco, sobrio e mai ridondante nel rendere vivide e calde le parole pronunciate durante la sua messinscena, dimostra più volte di avere solida e cosciente cognizione di ciò che vuole vedere manifestarsi sulla scena, aiutato dall’abile direzione della regista Roberta Lena. E a partire dalla scelta di una soundtrack che comprende Cure, Caetano Veloso e Transbeauce consente al suo Straniero di prendere forme inaspettate, in maniera più o meno fedele al testo di partenza (è forse importante?), annusando la medesima aria di morte e ricordo, di noia e seni «indovinati» sotto le camicette, di fiori e sudore causato da un caldo assassino. Il lutto (non) si addice a Meursault.

2-3 luglio ore 21.00 @ Teatro Franco Parenti
Lo straniero, un’intervista impossibile
Reading tratto da L’Etranger di Albert Camus
Con Fabrizio Gifuni
riduzione letteraria Luca Ragagnin
regia Roberta Lena
produzione Il circolo dei lettori
Informazioni e prenotazioni: o2.59995206
Teatro Franco Parenti, via Pier Lombardo 14, 20135 Milano (MI)
http://www.teatrofrancoparenti.it
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