
Maggie Rose è docente di storia del teatro inglese presso l’Università Statale di Milano. Oltre a occuparsi di Shakespeare, con il sostegno del British Council da anni si dedica alla promozione della drammaturgia contemporanea britannica: «Rappresentarla è necessario ed è compito dell’università diffonderne la cultura».

Come è nato il suo interesse per il teatro?
Sui banchi… Da ragazza avevo una mezza idea di lavorare per la televisione, e scelsi di iscrivermi a Lancaster perché offrivano buone opportunità di ingaggio alla BBC di Manchester – la mia città d’origine. Il mio era tra i primi corsi di laurea inglesi il cui piano di studi prevedeva già diverse ore pratiche di regia e recitazione; si ravvivò così una passione, quella per il teatro, che avevo già imparato ad apprezzare fin dai tempi della scuola.
Com’è arrivata a insegnarlo in Italia?
Sapevo che volevo continuare a occuparmi di teatro, ma non vedevo come: all’inizio ero solo una docente di lingua. Così, non appena ottenuta la cattedra di letteratura, ho proposto ai più interessati tra i miei studenti di vederci al di fuori dell’orario delle lezioni, per rielaborare insieme i contenuti dei testi visti la mattina. L’università acconsentì a lasciarci i suoi spazi: avevamo tutto il tempo di scrivere, sperimentare… e finalmente riuscivo a mettere in pratica quello che avevo studiato. Durante quei workshop sono nate anche le prime collaborazioni con i teatri milanesi: mi ricordo un progetto sulla biografia dal titolo Shakespeare Video Diaries e un lavoro sul Riccardo II dei primi anni Novanta.
Il vostro dipartimento è tutt’ora molto attivo in questo senso…
Quando abbiamo cominciato gli studenti non avevano fretta di laurearsi e si potevano fare tante cose. Le cose sono cambiate da quando sono stati introdotti i crediti: abbiamo dovuto integrare le nostre attività nel curriculum, ma siamo riusciti a ritagliarci un laboratorio di venti ore. Non sono abbastanza, ma servono comunque a far capire ai ragazzi come è scritto un testo teatrale. Scegliamo sempre soggetti vicini alla loro esperienza: quest’anno, per l’Expo, a ognuno è stato chiesto di scrivere micro testi di dieci battute ispirati alla battuta di Calibano ne La Tempesta di Shakespeare: «I must eat my dinner». Lo metteremo in scena a maggio.
Come reagiscono gli studenti?
Alcuni – grazie al lavoro degli insegnanti – arrivano all’università assolutamente ben disposti; ma per la maggior parte il teatro è sinonimo di noia: costretti ad assistere alle rappresentazioni di testi studiati in classe, non la vivono come un’esperienza coinvolgente, in grado di formare la persona. Non ne apprezzano l’utilità, ma noi ci impegniamo perché possano cambiare idea.

Cosa blocca l’apertura al teatro delle scuole italiane?
In Italia si organizzano i laboratori di teatro, è vero, ma sono attività extra, tenute da esperti esterni. Nel Regno Unito, invece, drama è una materia scolastica integrata nei programmi curriculari fin dall’asilo, che si studia con l’apporto di teachers specializzati – molti sono attori o registi che hanno deciso di lavorare nelle scuole. Si crea una sensibilità diversa; il pubblico è abituato ad andare a teatro fin da giovane. In Italia le cose stanno cambiando, ma purtroppo le iniziative organizzate a livello locale non bastano, soprattutto se non si formano gli insegnanti.
Tra i suoi compiti di docente universitaria, però, c’è anche quello di formare i futuri insegnanti…
Un anno ho provato ad avvicinare Hamlet ai ragazzi delle scuole considerandolo come dramma di una famiglia in crisi, fornendo gli insegnanti delle tecniche appropriate per sviluppare le loro osservazioni in forma di drammaturgia. Ho anche scritto un saggio dove propongo di “sfruttare” The Importance of Being Earnest di Wilde così da far riflettere gli studenti, che sempre più spesso assumono una seconda identità su Internet. Bisogna che vivano i testi in modo diverso, e che comprendano la vicinanza di temi e personaggi alla realtà. Ma i tempi stretti del TFA (Tirocinio Formativo Attivo, ndr) non ci consentono di fare di più…

Ha dunque dei suggerimenti?
Nel Regno Unito il Governo spende molto per sostenere l’outreach dei teatri. In Scozia si finanziano le tournée dei teatri affinché il loro repertorio si diffonda nel territorio e arrivi a tutti i cittadini, soprattutto ai giovani. La Royal Shakespeare Company è una delle nostre compagnie più sovvenzionate. Tutto ciò avviene comunque a condizione che parte dei fondi ricevuti sia spesa in attività educative. È importante che i teatri collaborino con le scuole; in Italia dovrebbero farlo di più.
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