
Cesare, attento a Bruto, bada a Cassio, non avvicinarti a Cinna, guardati da Casca, diffida di Trebonio, bada a Metello Cimbro, Decio Bruto non ti ama. Un pensiero solo unisce questi uomini, ed è rivolto contro Cesare.
Come un bisbiglio, l’avvertimento s’insinua nel cuore più profondo di una notte ricca di paure e superstizioni. È l’onirico incipit della rilettura del Giulio Cesare di Shakespeare, firmata da Andrea Baracco. Incipit che fa da overture all’unica – e notevolmente interessante – chiave di lettura possibile per avvicinarsi alla rivisitazione di Baracco: il suo Giulio Cesare vive nelle menti dei congiurati Bruto e Cassio come produzione evocativa e allucinata di immagini, ombre e sogni.
Tre porte e una seggiola distrutta rappresentano l’intuizione più forte e simbolica della rilettura. Se la seggiola è l’immagine devastata di un potere logorante, le porte – rudimentali e in ferro – si muovono come fossero girandole pronte a scandire lo scorrere del tempo, che non è quello canonico di lancette, ore o secondi, ma che fa capo alla sfera del sogno e della percezione di una realtà deviata, deformata. Servono da appiglio continuo per gli attori, e sono specchio delle loro lacerazioni interne.

Isabelle Huppert sostiene che «non esistono personaggi, ma solo stati d’animo». Ed è sugli stati d’animo che Andrea Baracco lavora maggiormente: sarebbe anacronistico – o enormemente complicato – ragionare su Giulio Cesare come parabola discendente di potere e decadenza. E dunque il regista riproduce le sofferenti inclinazioni dei congiurati Bruto, Cassio e Casca, le angosce di Porzia, i timori di Antonio, la sbruffoneria di Ottaviano e le frustrazioni di Calpurnia seguendo una reinterpretazione metafisica che sfrutta il movimento del corpo, il delirio della mente, la continua stilizzazione di eventi ed elementi.
Il sangue è simulato dall’utilizzo di gessetti rossi, che tracciano ferite simboliche – e carnali – sulla camicia di Bruto nel momento più intenso e intimo dell’intero spettacolo. Baracco immerge la sua Roma simbolica e dalle geometrie essenziali in un’atmosfera volutamente irreale, in cui la musica classica si accompagna a quella contemporanea, in cui gli abiti non rispondono a nessun canone estetico e temporalmente definito. Sarebbe errato definire la sua rilettura contemporanea, o peggio ancora, postmoderna: queste categorie prescindono e fanno riferimento a momenti storici ben precisi, esistenti. Questo Giulio Cesare, invece, va visto e vissuto come se le convenzioni della realtà, semplicemente, non esistessero. Come se fossero solo i dolori, le immagini e le luci a costituire gli unici elementi credibili di una materialità fatta di sogni, veli e sangue pastello.
GIULIO CESARE
regia Andrea Baracco
adattamento di Vincenzo Manna e Andrea Baracco
con Livia Castiglioni, Giandomenico Cupaiuolo,Ersilia Lombardo, Roberto Manzi, Gabriele Portoghese, Lucas Waldem Zanforlini
produzione 369gradi e Lungta Film – in collaborazione con Teatro di Roma
11 | 19 febbraio @ Teatro Franco Parenti
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