di Mariafrancesca Moro

Dostoievskij, Turgenev, Čechov, Gogol’, Tolstoj: il teatro e la letteratura russi sono affollati di scrittori e drammaturghi che hanno irrimediabilmente segnato le nostre vite di incauti lettori e spettatori. Tuttavia, per gli spiriti più temerari, giace nella penombra, con sorriso beffardo, ancora qualcuno che aspetta di essere divorato (o di divorarci). Si chiama Aleksander Ostrovskij: ha il nome di un asteroide e pare sia il fondatore della drammaturgia russa. In attesa di vederne uno dei capolavori in scena al Teatro Franco Parenti, Lupi e pecore, ne indaghiamo vizi e virtù insieme a Fausto Malcovati, principe della slavistica, nonché critico, traduttore, saggista, affascinante conversatore.
Professore, iniziamo così: Ostrovskij, chi era costui?
Come «chi era costui»?! Il più grande drammaturgo del teatro russo, colui che ne ha fondato il repertorio. Acuto osservatore del reale, capace di trasformare le piccole miserie del quotidiano in grandi tragedie teatrali, ha scritto un impressionante numero di opere, alcune delle quali veri e propri capolavori dalla spiazzante capacità dialogica e dal ritmo ed energia inimitabili. In Russia – dove è considerato autore di culto e non si contano più gli allestimenti dei suoi lavori – la sua figura è ricordata per le lotte finalizzate al riconoscimento degli attuali redditi sul lavoro a tutte le categorie dello spettacolo, e per aver reso legittime la tutela e l’affermazione del diritto d’autore (attraverso la fondazione della Società Russa degli Autori Drammatici e dei Compositori, nel 1874, ndr). Deciso sostenitore di un teatro popolare, in grado di istruire il pubblico tramite un repertorio classico, è morto prima di vedere realizzati i suoi sogni.
In Italia, invece, è praticamente sconosciuto ai più…
Effettivamente è poco rappresentato, forse perché la sua opera – che affonda le radici nella Russia di metà Ottocento – sembra narrare una realtà apparentemente lontana dalla nostra. A ben vedere, tuttavia, è un autore profondamente contemporaneo: basta sfogliare i quotidiani per ritrovare le vicende d’inganni e bassezze che popolano i suoi testi.

Cosa lo distingue dagli autori russi più celebrati?
Il suo teatro è privo di qualsiasi visione etica o spirituale. In Ostrovskij ci sono, perlopiù, descrizioni di vizi umani che costituiscono il fulcro dei suoi drammi: l’aridità, la tendenza all’inganno, la sopraffazione. Il male che racconta non trova redenzione, non è mai provvidenziale, è rappresentato esattamente per come appare. I biechi protagonisti dei suoi lavori mantengono le stesse meschinità da inizio a fine pièce; nei romanzi di Dostojevskij, invece, i personaggi racchiudono in sé il bene e il male. Oppure – e penso al Tolstoj di Guerra e Pace – compiono un percorso che li conduce verso l’una o l’altra direzione. Il vettore dell’equilibrio tra positività e negatività, per Ostrovskij, tende verso il secondo elemento. Non è sbagliato immaginare che questa inclinazione a considerare la società come dominata dalle forze più distruttive abbia incontrato i favori di una Russia che, nella seconda metà dell’Ottocento, era storicamente in preda a momenti di grossa repressione e forte smarrimento. E nonostante la presenza di alcune figure positive, alla fine vincono sempre i lupi. L’ipocrisia, lo sfruttamento dei più deboli e la disintegrazione dei valori umani compongono un quadro tutt’altro che consolatorio!
Forse sarebbe più giusto accostarlo a Balzac…
Sì, ma fino a un certo punto: il mondo di Ostrovskij è ancora più cupo. A differenza di Balzac, è raro che insceni opere dedicate alla nobiltà. A lui interessa il mondo dei commercianti, dei mercanti emergenti, della classe media. Essersi rivolto alle fasce più diffuse è innegabilmente una delle ragioni del suo successo.

Balziamo di cent’anni avanti: chi sono oggi i «lupi» e le «pecore»?
I lupi di Ostrovskij non sono i grandi cattivi, i capi delle multinazionali, i super potenti. Sono i piccoli usurai, le madri che spingono le figlie a prostituirsi, i delinquenti che truffano gli anziani o rubano le borse sul tram. Gente con cui abbiamo a che fare ogni giorno.
Lei si sente più «lupo» o «pecora»?
Non mi piacerebbe affatto essere lupo. Anche le pecore, però, non se la passano molto meglio…
Ipotizziamo che io sia una sua studentessa: cosa mi direbbe per spedirmi di corsa al Parenti a vedere Ostrovskij?
Che l’ultima volta che è stato rappresentato in Italia era il 1975… non vorrà mica aspettare altri trent’anni?

Lupi e pecore
di Aleksandr Ostrovskij
con Corrado Giannetti, Paolo Meloni, Marco Spiga, Maria Grazia Sughi, Luigi Tontoranelli,Valeria Cocco, Eleonora Giua
regia Guido De Monticelli
produzione Teatro stabile della Sardegna
Dal 10|15 dicembre al Teatro Franco Parenti
Lectio magistralis di Roberta De Monticelli
Etica e società tra «lupi» e «pecore»
per il ciclo «Classici, che passione!»
Martedì 10 dicembre al Teatro Franco Parenti, ore 18.30
Maggiori informazioni su http://www.teatrofrancoparenti.it
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