di Eleonora Tosco (1985) giornalista, laureata in Filologia Moderna presso l’Università Cattolica di Milano.
Tfaddal serve per vivere a pieno respiro tutti gli spazi del Franco Parenti e amarne la teatralità totale.
Ogni centimetro di questo luogo è palco, le quarte pareti si costruiscono e si dissolvono di volta in volta, a seconda di cosa si porta in scena. Con questo festival il teatro svela l’aspetto più bello di sé e per ciò ho deciso di portare con me qualcuno che, il Franco Parenti, non l’aveva mai visto. Per offrirgli un’esperienza teatrale a 360 gradi. Ci gustiamo l’aperitivo mentre pian piano il Foyer si anima di attori e pubblico. Suona la prima campanella per lo spettacolo di Monstera, che ci racconta un’altra storia, per certi aspetti speculare all’Amleto, quella di Leonce e Lena. Nicola Russo, regista della compagnia, confessa di aver avuto bisogno di creare un velo da interporre tra sé e Amleto, come spiegherà più tardi nella purtroppo breve intervista con Chiappori e Cannella. Il secondo spettacolo si fa attendere molto. Gianfranco Berardi, il giorno prima lo avevo visto nel pubblico e oggi è qui, negli intimi spazi del Cafè Rouge, a tirare fuori l’energia creativa del suo dissidio, profondo e reale, tra “vedere e non vedere”. La macchina del caffè si riaccende mentre il pubblico è costretto a spostarsi un po’ di fretta in Sala A; qualcuno ancora conversa di arte. I lavori sono in ritardo e si cerca di recuperare tempo. Rivedo volentieri lo spettacolo Musella-Mazzarelli; la persona che mi accompagna si diverte. Da qui di corsa, troppo di corsa forse, si va nel Foyer. Questa serata pecca di tranquillità. Decido di prendermi il mio tempo e assisto alla pièce di Andrea Baracco sorseggiando una tazza di tè. Ritorna l’atmosfera incredibile da cafe-concerts francese che amo tanto di questo posto. Da dove siedo posso osservare anche il pubblico, rapito dalla fisicità e dall’umanità innegabile del Claudio di Baracco. Usciamo dal palco totale per tornare alla realtà; chi mi accompagna sorride.
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