“Non essere per essere, questa era la chiave?”

di Valentina Berardi (1983), laureata in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee presso l’Università degli Studi di Milano

Se Amleto si tinge di giallo, chi può risolvere il caso se non Sherlock Holmes e Watson? Nella loro Indagine su uno spettro al di sopra di ogni sospetto, Lino Musella e Paolo Mazzarelli fondono la tragedia shakespeariana con la celebre coppia di investigatori di Conan Doyle, inventando una storia che va a indagare Amleto, e con lui il teatro stesso.

In uno squisito gioco metateatrale, la scena si apre su un palcoscenico, teatro dell’assassinio di un quindicenne, morto dopo aver preso parte a una recita dell’Amleto. Richiamandosi di continuo al luogo teatrale – “Questo è il teatro. Cinque pareti. Anche se le quinte qui non ci sono”, ironizza Mazzarelli-Sherlock Holmes – la pièce fa dell’Amleto il caso da risolvere, l’enigma da decifrare. Ma se per Watson “investigare significa capire le ragioni”, Sherlock si abbandona alle suggestioni, come la leggenda dello spettro che si aggira nel teatro, “casa della suggestione” per antonomasia. Forse che Amleto sia LO spettro? Del resto, nessuno dei due attori in scena ne veste i panni. Ma a ben vedere, la sua presenza è tangibile nelle numerose citazioni del testo, prima fra tutte il monologo “essere o non essere”, recitato (per la prima volta in questo Tfaddal) da Sherlock Holmes. Ma se ogni incursione nella tragedia del Bardo provoca reazioni inspiegabili – luci che si spengono e uova gettate sulla scena – forse lo spettro è il ragazzo che, ossessionato dall’Amleto, ha scelto di “morire senza morire davvero”, nascondendosi nel teatro? Elementare, Watson! “Non essere per essere, questa era la chiave”.

Ma è un’illusione, tra essere e non essere, sapere e non sapere, non c’è soluzione: appare Amleto, un ragazzo che, non visto, si avvicina al proscenio e fissa il pubblico alla luce di una torcia. Come uno spettro, c’è perché non c’è.

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