di Matilde Guido (1992), laureanda in Management per arte cultura e comunicazione presso l’Università Bocconi.
Vestita di tutto punto, tacchi a spillo compresi, Ambra Senatore sale sul palco, dove gli spettatori sono stati fatti accomodare. Si sfila le scarpe e inizia la sua sofferente danza, con un urlo muto.
Ambra Senatore sceglie di non abbandonare il suo modo di interpretare il teatro, anche in una sfida con un grande classico, infatti, il titolo, A lato di Amleto, tradisce la sua volontà di non entrare in contatto direttamente con l’opera, perché abituata a lavorare su una percezione, sull’essere umano e le sue relazioni e non partendo da un testo o da un tema.
La richiesta di realizzare uno spettacolo sull’Amleto è stata trasformata dall’artista in un’occasione di incontro e confronto con le persone, indagando, anche tra sconosciuti, le azioni e le immagini che l’ Amleto suscita, come spiega il foglio che distribuisce lei stessa agli spettatori in attesa di entrare in sala, chiedendo di scrivere le proprie immagini o impressioni.
Alla fine della danza, iniziata con l’ingresso sul palco, Ambra spiega il significato di quei movimenti: rappresentano ciò che lei ha immaginato mentre scriveva il progetto, sono quindi la rappresentazione delle sue percezioni superficiali sull’opera.
La seconda parte è un susseguirsi di visi, con espressioni più o meno disperate, che fissano il teschio, immaginario, e, quindi: una mano vuota, espressioni di riflessione o, ancora, persone che muoiono, cadendo a terra. Questa è la parte fedele al progetto, l’insieme e la dimostrazione di quanto i nostri primi pensieri su qualcosa di noto siano tra loro simili e, forse, anche un po’ banali.
Con questo studio, forse ironico sull’ Amleto ma un po’ meno sulle persone, Ambra Senatore mette in scena il “suo Amleto”, che Amleto non è, ma che gli passa accanto, sfiorandolo e facendogli una carezza, come solo l’espressività dei suoi movimenti sanno fare
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