di Federica Papapietro (1991) laureanda in Filosofia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele
Amleto è un grande orecchio di argilla malleabile, morbido, come il corpo della danzatrice che si aggira intorno a esso. Questo enorme dettaglio è il perno su cui gira tutto lo studio che Opera ha realizzato su Amleto. In scena al Parenti per il Festival Tafddal sabato 11 domenica 12 maggio.
Gli attori giocano col corpo trasfomandolo e distorcendone la visione allo spettatore che è libero di aggirarsi sulla scena. Confuso e disorientato, il pubblico sceglie il proprio punto di vista e lo modifica a suo piacimento, pronto a cogliere tutte le sottigliezze di uno spettacolo che inizia quasi impercettibilmente. L’entrata in scena è tacita, dà la sensazione di assistere a uno spettacolo per “sordomuti”, in cui un giradischi gira senza produrre alcun suono, a dispetto della gigantografia dell’organo principe dell’Amleto.
L’attore plasma la materia come un demiurgo attento a ogni dettaglio, facendo emergere tutta la fatica del lavoro di perfezionamento di un corpo ostile a ogni perfezione.
Il corpo maschile e quello femminile predominano simmetricamente nel foyer del teatro e aiutano a riscoprire l’autenticità del quotidiano, creando, forse, un’immagine troppo surreale di Amleto che fatica a travolgere ma che affascina, incuriosisce e vela di mistero gli sguardi e le menti, creando una sintonia davvero insolita con il pubblico.
Costruzione e decostruzione, paura e angoscia terribile emergono da questo difficile ma estremamente raffinato spettacolo.
Curato ogni dettaglio.
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